Martedì primo maggio, ricorre il 40° anniversario della morte di Don Giuseppe Girelli, avvenuta a Negrar (VR) il 1.05.1978.
Don Giuseppe Girelli dedicò l’intera vita al prossimo in particolare ai carcerati in quanto sentiva il dovere di porgere una mano a queste persone, di scavare nella loro anima per aiutarli a sopportare la reclusione. La prigione è un luogo che priva l’uomo non solo della libertà fisica ma lo priva anche della libertà di agire, gli toglie gli affetti, la voglia di vivere, la fiducia in sé stessi e questo don Girelli e i suoi missionari lo avevano compreso così per più di quarant’anni varcarono la soglia delle prigioni di tutta Italia per poter dare un aiuto, un conforto e una speranza ai reclusi. Riteneva, inoltre, la prigione uno spazio pieno di dolore, di sofferenza interiore, un luogo dove la privacy e l’autonomia erano totalmente negate, un luogo che portava all’autolesionismo da un lato e all’autoesaltazione dall’altro a causa dei meccanismi psicosociali che si vengono a creare all’interno di questi luoghi. Don Girelli riteneva che il carcere, quindi, era un luogo che doveva essere umanizzato, trasformato e liberato da qualsiasi cattiveria. Durante la sua vita visitò decine e decine delle carceri italiane e tra i più importanti vi sono: il carcere dell’Asinara, Castiadas in Sardegna, Gorgona (piccola isola dell’arcipelago toscano) e Pianosa.