di Chiara Marsilli
Corriere della Sera, 26 maggio 2019
L’iniziativa ieri a Verona. Fedrizzi: così si costruisce uguaglianza. Formazione, professione, sfida, riscatto. Sostenere l’istruzione alberghiera in carcere per dare futuro ai detenuti. Nasce da qui la “Sfida ai fornelli 2.0” che ieri ha visto fronteggiarsi alcuni detenuti del carcere di Spini di Gardolo e di Montorio a Verona impegnati in un percorso di formazione professionale.
Un’amichevole gara di cucina ospitata nel veronese che ha visto vincere, di poco, la squadra di casa, in una gara di tutto rispetto: una settantina di coperti, una giuria che contava anche lo chef di Cuochi d’Italia Andrea Cesaro e tre ore per preparare un menu di quattro portate. L’iniziativa, ideata dalla Camera penale di Verona, è stata immediatamente accolta e fatta propria dalla Camera penale di Trento grazie all’interessamento del presidente, l’avvocato Filippo Fedrizzi, e dall’avvocatessa Sara Morolli.
Un progetto ambizioso e unico in Italia che prende le mosse da una semplice consapevolezza: permettere ai detenuti di apprendere un mestiere durante il periodo di pena aiuta a dare un senso alle giornate, introduce al mondo del lavoro rendendo meno traumatizzante il reinserimento nella società civile e riduce di molto il rischio di recidive.
Della squadra trentina l’unico che frequenta l’istituto alberghiero in carcere è Salvatore, 50enne di “Napoli città”, già iscritto allo stesso corso di studi da ragazzo.
Insieme a lui, a seguire le indicazioni dello chef Giuliano Pilati, altri tre detenuti senza formazione specifica ma con un certo gusto per la cucina. Mohammed ha 27 anni, viene dalla Tunisia, sogna dei piatti “fusion” tra la sua terra d’origine e quella italiana ma il ramadan lo costringe a non assaggiare nulla di quello che prepara; Marian, rumeno di 32 anni, aspetta con ansia il fine pena per tornare a casa dai suoi figli, due gemelli di nove anni, dalla moglie e dal suo giardino; Pietro ha 64 anni, è nato in provincia di Mantova e legge il mondo attraverso un filtro di sottile ironia. Per tutti il fine pena è vicino, dai due ai nove mesi.
Per tutti la grande incognita è quello che succederà dopo e la difficoltà di tornare a vivere ed agire al di fuori del contesto iper regolamentato del carcere. Incognita che può essere placata da una formazione ad hoc. A Montorio c’è una sorpresa: della squadra veronese fa parte anche Malik, uno dei detenuti trentini allievi dell’alberghiero che in seguito alla rivolta di dicembre è stato trasferito a Verona.
“Quando abbiamo saputo del trasferimento ci siamo attivati perché Malik potesse essere inserito nel programma di formazione del carcere di Verona. In questo modo può continuare a studiare e prendere il diploma – spiega Gianlorenzo Imbriachi, docente di Scienze alimentari a Rovereto e parte del corpo insegnanti di Spini da 5 anni-Insegnare in carcere è un’esperienza che consiglierei a tutti perché aiuta a mettere le cose in una prospettiva diversa, ma molti si fanno spaventare dal pregiudizio”.
Proprio il pregiudizio è l’ostacolo che questo progetto vuole abbattere. “Al di là del risultato-spiega Filippo Fedrizzi – iniziative di questo tipo permettono ai detenuti di essere trattati alla pari, non per la loro storia ma come individui. Vogliamo continuare su questa strada coinvolgendo sempre più imprenditori locali come abbiamo fatto con Segata, che ci ha fornito i 10 chili di carne salada necessari per preparare l’antipasto della squadra trentina”.
Pensiero condiviso anche da Domenico Luigi Bongiovanni, direttore dell’istituto alberghiero di Verona Angelo Berti: “Il traguardo massimo è nobilitare il lavoro e attraverso esso permettere il reinserimento definitivo nella società dell’ex detenuto, realizzando cioè la finalità più alta: una volta scontata la pena ed estinto il debito, ricominciare in condizioni di opportunità uguali”.
A Verona la casa circondariale ferve di vita attiva. Dei 600 detenuti, circa un centinaio sono coinvolti nei diversi progetti lavorativi. Quelle che saltano maggiormente agli occhi sono le attività che coinvolgono gli animali e uniscono la formazione professionale a una sorta di pet therapy. Il canile, convenzionato con il comune di Verona, ospita alcuni randagi, può essere utilizzato come pensione a pagamento da chi ha bisogno di affidare il proprio animale domestico durante le ferie e i detenuti inseriti nel progetto ricevono un diploma utile per trovare un impiego. Ma non solo.
Dentro le mura della casa circondariale cavalli, pecore e agnelli brucano placidi sotto lo sguardo attento di alcuni detenuti impegnati nella cura dell’orto destinato all’autoproduzione. Il futuro della detenzione passa anche da qui e dalla gara di ritorno, in programma a novembre a Trento.