Universitari al carcere di Montorio

Giovedì 28 Aprile 2011 una quarantina di studenti universitari hanno varcato la soglia del carcere di Montorio, non per aver commesso qualche azione trasgressiva, come si potrebbe pensare, ma per seguire una lezione didattica. Il contesto risulta alquanto insolito per l’insegnamento, se non si conosce il titolo del corso organizzato dalle facoltà di Giurisprudenza e Scienze della Formazione: “Carcere e mondo della pena. Un contesto da umanizzare”.

Un piccolo passo verso un confronto tra dentro e fuori le mura? Questo è ciò che si spera se si ritiene necessaria una maggior apertura di quei cancelli, all’interno dei quali sono rinchiuse non solo persone, ma anche problematiche e storie riguardanti l’intera società. In realtà quest’apertura si è fermata alla presenza, seppur discontinua, di due figure rappresentative come il Comandante della Polizia penitenziaria e la Responsabile dell’area pedagogica, di fronte ai quali i professori hanno esposto diversi dati e teorie sulla pena, chiamando in causa grandi pensatori come Michel Foucault.

Al momento del vero confronto, sulla base degli interventi degli alunni e delle risposte dei professori, non è stato possibile sentire anche il parere dei due dirigenti, che da anni, tutti i giorni, si trovano a lavorare nel carcere e a conoscere davvero modalità e conseguenze dell’esecuzione penale. Tuttavia si è dimostrata preziosa la testimonianza di un’educatrice, che lavora da un anno al carcere di Montorio. L’accenno alle difficoltà con le quali si devono scontrare gli operatori nella quotidianità è stato interessante per quegli studenti curiosi di posare il proprio sguardo, non solo sulle pareti di una piccola sala riunioni, ma anche sulle dinamiche interne alla struttura ospitante. Ancora una volta vengono citati i tagli finanziari come ostacolo principale alla realizzazione di progetti rieducativi nei confronti della popolazione detenuta.

Così dalla proposta illuminista di esecuzione penale, discussa da Foucault, secondo cui la condanna non deve avere solo funzione punitiva ma anche rieducativa, la riflessione si è spostata ai giorni nostri: quale modalità viene oggi applicata? Si può finalmente parlare di rieducazione? In quali termini?

Non era certo questa la sede per aprire un dibattito, come hanno ricordato alcuni professori, ma certamente i temi emersi hanno stimolato il loro approfondimento da parte degli studenti, già motivati nella scelta di partecipare al corso. La possibilità anche solo di creare uno spazio di riflessione sulla pena all’interno del luogo che la rappresenta per eccellenza, può essere considerato un buon inizio per un percorso di cambiamento.