Una cella in chiesa

Dall’1 al 4 dicembre nella parrocchia del Beato Don Carlo Steeb si è parlato della pena, della condizione dei detenuti e del personale nel vicino carcere di Montorio e delle iniziative della Fraternità.

Dopo un incontro pubblico serale, in chiesa è stata allestita un piccola mostra di quadri realizzati dai detenuti nel corso di pittura ed è stata collocata, immediatamente di fronte alla porta d’ingresso, la fedelissima ricostruzione di una cella con tutti i suoi arredi, compresi i due letti a castello per 4 persone.

Alle messe di sabato e domenica invece dell’omelia si sono ascoltate le testimonianze di fra Beppe e di un volontario della Fraternità, con l’invito a raccogliere i beni di prima necessità per la pulizia e l’igiene, da consegnare ai detenuti che ne sono sprovvisti per il feroce taglio dei finanziamenti all’Amministrazione penitenziaria.

Lucia Di Palma racconta così l’evento in un articolo destinato al giornalino parrocchiale

"ERO IN CARCERE E SIETE VENUTI A TROVARMI.
Il tempo liturgico dell’Avvento, incentrato sulla venuta di Gesù nella storia, mira a scuotere i credenti dal torpore spirituale e dalla superficialità.
E’ un appello pressante alla conversione interiore.
In questo tempo la nostra comunità ha voluto prepararsi ad accogliere Gesù, volendo incontrare la realtà del carcere attraverso l’ascolto attento di chi dedica il proprio tempo agli ultimi tra gli ultimi quali sono i detenuti.

Giovedì primo dicembre la nostra comunità ed in particolare i nostri giovani (adolescenti e scout) hanno incontrato l’associazione “La Fraternità” che dal 1968 si occupa e preoccupa di farsi prossimo con chi, sbagliando, si trova a scontare una pena detentiva nei carceri italiani.
Quella sera Fra Beppe Prioli ed i volontari di questa associazione ci hanno raccontato come, attraverso le varie attività di sostegno ai detenuti ed alle loro famiglie, vogliono offrire a chi ha commesso un reato, l’opportunità di vivere l’espiazione della pena come una possibilità di cambiamento e di reinserimento nella società.

Il sistema giudiziario italiano si fonda sul principio che la condanna penale deve avere una funzione rieducativa, tale nobile intento rischia però, il più delle volte, di restare pura demagogia e quindi la pena finisce per avere solo una funzione restrittiva e punitiva della persona autore di reato. Il lavoro dall’associazione “La Fraternità”, a fianco dei detenuti e delle loro famiglie, si pone come obiettivo prioritario quello di dare qualità all’espiazione della pena, perché così possa assolvere alla sua funzione rieducativa.
Nel fare questo il loro interesse non è rivolto soltanto al detenuto, soggetto che, per chi non si occupa di carcere, non è meritevole di interesse umano, anzi va bene rinchiuderlo e semmai buttare la chiave, ma anche alle vittime. Se non quelle già in essere, almeno le ipotetiche future, che possiamo immaginare ogni qualvolta, al termine di una carcerazione, viene rimesso in libertà un uomo con il quale non è stata tentata alcuna rieducazione.

Fra Beppe, parlandoci della sua intensa attività al fianco dei detenuti, ha rivolto alla nostra comunità un messaggio forte ed accorato, per risvegliare in noi uomini di chiesa l’ interesse per i quasi mille detenuti rinchiusi nel carcere di Montorio.
Una realtà vicina alle nostre case ma invisibile ai nostri occhi e sopratutto ai nostri cuori, una realtà che in tutta la sua crudezza ci interroga come uomini e come cristiani.

Ed a portarci fisicamente nel carcere di Montorio è stata la cella (riprodotta in dimensioni reali) contro la quale ci siamo imbattuti entrando in Chiesa nella seconda domenica d’Avvento.
Abbiamo potuto “sentire” la fatica che un uomo deve vivere per mesi ed anni, quando i suoi errori lo conducono a scontare una condanna penale.
E’ vero sono persone che hanno sbagliato, ed in alcuni casi il loro errore ha calpestato se non ucciso un’altra vita umana; ma offrire ai detenuti condizioni di vita disumane ha come unico risultato quello di uccidere quella parte di umanità rimasta anche nel cuore di chi si macchia dei più orribili reati.

Fra Beppe ha, con la commozione di chi vede il volto di Cristo negli “scarti” della società, saputo testimoniarci, nella Messa, quanto sia fondamentale offrire a questi uomini ascolto, accoglienza e confronto, perché nel tempo della pena possano operare un vero cambiamento.
Lui ha più volte ribadito che ogni detenuto può guarire dalla lebbra del male, non foss’altro perché Dio non è uno sconfitto. L’uomo può compiere il peggiore dei mali ma non c’è male che Lui non può perdonare.
Fra Beppe tutto ciò lo ha capito quando all’età di vent’anni, giovane fraticello, lesse un articolo giornalistico su un ragazzo condannato all’ergastolo.
L’eco in lui di quella notizia, non fu di compiacimento per una giusta punizione, ma di estrema empatia con quel figlio di Dio a lui sconosciuto, tanto da non poter far altro che andare a trovarlo per portargli conforto e sostegno.
Da allora la sua missione di cristiano è quella di raggiungere in tutti gli istituti penitenziari d’Italia, da lui definiti i nuovi lebbrosari, il maggior numero possibile di detenuti, per cercare di sanare le loro piaghe e di far comprendere ai bempensanti che ridare dignità umana a chi spesso nella vita ha dovuto mendicare amore è la strada per una società più sicura.

A noi, credenti in Dio, l’appello a non chiudere i nostri cuori a questi fratelli in Cristo, così da celebrare il Santo Natale nella Verità dell’Annuncio che ci educa alla vita buona del Vangelo."