Un detenuto sepolto in chiesa

Nell’itinerario che La Fraternità propone tra i luoghi significativi nella storia delle pene a Verona è compresa anche una visita alla prima cappella a destra dell’ingresso in facciata della chiesa di S. Maria Antica, tra le Arche scaligere e piazza dei Signori (piazza Dante).

Ecco

LA STRANA STORIA DI FEDERICO FRIGOTTO (1756-1793), IL CARCERATO SEPOLTO IN SANTA MARIA ANTICA

Cappella Frigotto a S. Maria AnticaNella cappella della Madonna in Santa Maria Antica a Verona è sepolto Federico Frigotto, morto in carcere a 38 anni, il 16 aprile 1793. La lapide pavimentale ricorda che il detenuto, «reo di capitali delitti», inasprì volontariamente la sua detenzione, con digiuni e veglie, diventando un modello di condotta per i compagni di cella. Consumato dalla tubercolosi, la fama della sua redenzione indusse a considerare il detenuto come fosse un ‘santo’, venuto a testimoniare i «misteriosi disegni di Dio» e degno di essere sepolto in chiesa. Allora il carcere era collocato nelle torri dei palazzi del potere, tra piazza Erbe e piazza dei Signori (palazzo della Ragione e palazzo del Capitanio), e il lamento dei detenuti era un suono costante di sottofondo tra il rumore della gente e del mercato. Il respiro dei prigionieri incombeva sul centro della città, come una minaccia e un deterrente o, al contrario, come la dimostrazione di una giustizia che protegge e rassicura. Dalle finestre sbarrate delle torri trapelavano aneddoti, notizie, curiosità. I criminali e le loro privazioni si prestavano alle chiacchiere e ai racconti, diffusi fuori dalla prigione dalle guardie e dai religiosi addetti all’assistenza. Probabilmente fu così che la storia di Frigotto divenne popolare: la piazza parlava di quest’uomo pentito e si interessava della sua sorte.

Chi era Federico Frigotto? Nacque a Lonigo, in provincia di Vicenza, l’8 marzo 1756, in una famiglia povera (il padre lasciò in eredità ai figli soltanto un mucchio di debiti), ma sulla sua vita in gioventù sappiamo pochissimo. Il capitano e vice podestà di Verona, Mario Savorgnan, condannò Frigotto in contumacia il 5 aprile 1782 al bando perpetuo dai territori della Repubblica di Venezia «per omicidio commesso con arma da fuoco», con pena dell’impiccagione in caso di arresto. Un anno dopo, come rivela un carteggio conservato in un archivio privato, fatto conoscere e trascritto da Silvia Rivoltella (quale tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Ferrara nell’anno accademico 2008-2009), il latitante si presentò, disperato, con archibugio, pistole e coltelli in casa di suo fratello, Bortolo Frigotto, a Lonigo per farsi consegnare del denaro. Era il 19 aprile 1783. I testimoni raccontano che Federico avesse chiesto a Bortolo 100 zecchini, proferendo minacce di morte, condite da bestemmie «ereticali» (l’espressione compare negli atti). La conclusione della vicenda è un po’ confusa. Qualcuno riuscì a calmare Frigotto, che qualche tempo dopo (restano da chiarire la data e le circostanze) fu arrestato. La condanna a morte del 1782 fu sospesa per dare corso al procedimento sull’aggressione al fratello e l’accusato fu condotto in carcere a Verona. Poi la conversione. Dal 1790 si diffuse la voce sulla condotta ‘santa’ di Federico. Forse il percorso penitenziale era stato indotto dalla consapevolezza della fine imminente a causa della malattia e accompagnato da qualcuno che aveva saputo smuovere l’animo del colpevole (un sacerdote, un frate o altra persona influente).

Quali proporzioni avesse assunto la notorietà del galeotto penitente non è facile a dirsi, ma di certo la morte di Frigotto fece clamore. Ci fu chi si preoccupò di finanziare la tomba nella chiesa di Santa Maria Antica e di commissionare i versi da incidere sulla lapide al roveretano Clementino Vannetti (1754-1795), letterato famoso ed esperto del genere:

OLYMPUS DIGITAL CAMERAARCANA ELIGENTIS DEI REVERERE QVI LEGIS

HIC SITVS EST FRIDERCVS FRIGOTVS

REVS CRIMINVM CAPITALIVM

QVI IN IPSA CVSTODIA AD FRVGEM REVOCATVS

TRIENNIVM IEIVNIIS VIGILIISQVE VLTRO

SVPPLICIVM DE SE SVMPSIT

VINCOLORVM SOCIIS MAGISTER

ET IDEM NORMA PIETATIS EXTITIT

MAGNAM LABEM MAIORE LAVDE ABOLEVIT

VIXIT ANNOS XXVIII

PHTHISI IMPLICITVS CARCEREM COELO MVTAVIT

XVI KAL. MAIAS ANNO MDCCXCIII

OBTESTATVS VT NE MORTVO QVIDEM

COMPEDES DETRAHERENTVR

 «Chi legge si inchini ai misteriosi disegni di Dio. Si trova qui sepolto Federico Frigotto, colpevole di crimini capitali che nella sua prigione, ricondotto alla virtù, si inflisse spontaneamente un triennio di supplizi con digiuni e con veglie, esempio per i compagni carcerati, eccelse nell’esercizio della pietà e riscattò le grandi infamie con meriti maggiori. Visse 38 anni, afflitto dalla tisi mutò il carcere con il cielo il sedicesimo giorno prima delle calende di maggio dell’anno 1793, supplicando affinché neppure da morto gli fossero tolti i ceppi».

Il testo riportato sulla tomba è una riduzione della proposta originaria. La versione integrale di Vannetti si trova nella raccolta delle iscrizioni allegata a una lettera all’abate Antonio Cesari del 1 giugno 1793 (edita nell’Epistolario del 1795). Tra le parti eliminate nella lapide, vi sono il riferimento alle orrende secrezioni vomitate dal prigioniero a causa della tisi, ma soprattutto al pianto del popolo che si disputava le povere vesti del detenuto, accompagnandolo alla sepoltura.

Federico Frigotto ‘vive’ ancora nella cappellina in Santa Maria Antica, dove l’iscrizione ricorda la sua storia, tra un’effige della Madonna col Bambino che lo veglia e la statua di Sant’Antonio da Padova, che gli sta accanto.

Ettore Napione