Ti chiameranno riparatore

Era tempo che qualche Comune si accorgesse di quale risorsa può rappresentare un carcere. Visto solo da un lato, il carcere sembra nient’altro che uno spreco di soldi: persone che, dopo aver procurato danni e costi con i loro reati, le relative inchieste e processi, continuano a farsi mantenere di vitto, alloggio e sanità senza far niente dalla mattina alla sera, con alta probabilità che dopo questa strana pena tornino a fare danni. Con involontaria ironia, chiamano “pagare” questo tempo vuoto che passa.

Ma se guardiamo da un altro lato, non una foto attardata ma una possibilità aperta, vediamo nel carcere una concentrazione di capacità lavorative accomunate dal desiderio di darsi da fare con un intreccio di motivazioni: perché una pena che mira a risarcire è preferibile (più accettabile, più comprensibile) di una pena che punta solo a far male separando; perché un’attività esterna è meglio di un far niente chiuso; perché c’è sempre da imparare e da stabilire relazioni. Da questo lato si vede anche che con meno carcere e più relazioni calano sensibilmente le probabilità di nuovi danni. E allora perché un Comune non dovrebbe attingere a questo serbatoio, quasi senza spese ma che non porta via il lavoro ad altre ditte perché comunque non ci sarebbero i soldi per pagare appalti di mercato?

In giro per l’Italia gli esempi si moltiplicano. Adesso anche il Comune di Verona ha fatto un primo passo. Aspettiamo gli altri Comuni e i passi successivi.

Vedi la presentazione dell’accordo

11-3-15 – L’Arena: “Detenuti al lavoro nelle strade del centro”

11-3-15 – Corriere di Verona: “Lavoro di pubblica utilità, i detenuti sistemeranno i sanpietrini delle strade”

15-3-15 – Verona fedele: “Per cinque detenuti la libertà inizia dai lavori socialmente utili”