Senza dire arrivederci

“Fuori dal carcere senza dire arrivederci” è il titolo dell’intervento di un volontario della Fraternità sul giornalino della parrocchia di S. Giuseppe fuori le mura.

“In occasione di questa Quaresima 2012 – è scritto nella presentazione – la Caritas Parrocchiale propone alla comunità un momento di riflessione su una realtà territorialmente a noi vicina, il carcere. Ma più che sul problema del sovraffollamento, di cui tutti i media già parlano, intende richiamare l’attenzione dei fedeli sull’aiuto fraterno e sulla solidarietà che, come cristiani, siamo chiamati ad offrire a chi, pagato il debito con la giustizia, deve affrontare le difficoltà del reinserimento nella vita sociale”.

Riportiamo integralmente l’intervento.

“L’immagine cinematografica di chi esce dal carcere a fine pena, portone che si chiude alle spalle, ex detenuto frastornato, in mano il suo sacco nero della spazzatura con gli effetti personali, è ancora vera e prevalente.

A metà degli anni ’90 l’associazione La Fraternità ha presentato un progetto per costruire davanti al carcere di Montorio un “centro d’ascolto” per accogliere i familiari dei detenuti in attesa di colloquio e dare ai detenuti scarcerati qualche orientamento, qualche indicazione, qualche oggetto di prima necessità (una borsa dove mettere le proprie cose, un biglietto dell’autobus, una piantina della città con i servizi ai quali rivolgersi, ecc.). Dopo innumerevoli approvazioni e delibere favorevoli, a tutt’oggi si sta aspettando l’inizio dei lavori, che viene detto (dal Comune) imminente. Come da molti anni.

Se lo scarcerato ha un‘abitazione e una famiglia, i suoi primi giorni possono essere tranquilli.
Se è straniero, deve preoccuparsi per il permesso di soggiorno o per l’eventuale espulsione. Il suo riferimento sarà lo sportello Citt.Imm, dove può ricevere informazioni ed assistenza.
Se non ha più documenti o residenza, va in Comune e, tra molti ostacoli, avvia la pratica.
Se non ha un posto dove dormire, va allo sportello unico da dove sarà inviato ad una sistemazione provvisoria, come “Il samaritano”.
Se non ha da mangiare, impara rapidamente gli orari e i giorni di apertura delle mense e delle distribuzioni di cibo.
Per l’incombere di tante altre difficoltà, si rivolge all’assistente sociale di quartiere, va dal parroco, alla Caritas, alla S. Vincenzo, al centro d’ascolto nella sede della Fraternità, agli sportelli degli avvocati di strada, di segretariato sociale, delle Acli...

Ma alla fine viene al pettine il nodo decisivo, quello sul quale si gioca tutto il percorso rieducativo, tutti i ripensamenti, tutte le buone intenzioni: il lavoro.
E oggi, salvo pochi casi, il lavoro non c’è. Tutti i poveri lo cercano, tutti quelli che non fanno parte o non vogliono più far parte di gruppi criminali, certamente più del 90% degli scarcerati, che avevano commesso reati nella condizione dello straniero irregolare, del tossicodipendente, del debole psichico. E non si sa cosa rispondere. Si può dire solo che non moriranno di fame, nient’altro. L’aiuto dei servizi sociali è praticamente azzerato dai tagli di bilancio. L’unico ammortizzatore sociale, l’unica stanza di compensazione oltre la limitata assistenza degli enti privati, sta nella nella famiglia e nella solidarietà tra emarginati, e poi? Poi non possiamo stupirci se tornano a commettere reati, se la recidiva media degli scarcerati è superiore al 60%.

Il costo sociale dei nuovi reati, della macchina giudiziaria, di altra carcerazione è superiore a qualunque risparmio sui servizi sociali che, aiutando nelle diverse condizioni di povertà, eviterebbero la loro trasformazione in comportamenti illegali. Ma sembra si preferisca tagliare il bilancio delle strutture di aiuto e piangere sul sovraffollamentlo delle carceri, le condizioni disumane che rendono impossibile il trattamento rieducativo e le spese elevatissime che comunque il sistema carcerario comporta.

Cosa fare? Prima di tutto, con responsabilità di ognuno di noi, non collaborare al rigetto, non chiudere le porte in faccia e quando possibile, pur con tutta la prudenza, restare accoglienti.

Qualche proposta: consistenti incentivi alle cooperative e altre imprese che assumono ex detenuti; lavori di pubblica utilità organizzati dagli Enti locali per offrire qualcosa di simile al servizio civile; una garanzia di reddito minimo di sopravvivenza, con particolare attenzione alle famiglie, agganciato all’obbligatorietà di servizio civile, se richiesto; o almeno, piuttosto che niente, proposte di formazione e riqualificazione professionale in vista di una ripresa.

Tempo di elezioni amministrative. Si può anche chiedere ai candidati che promettono sicurezza cosa intendono fare per questa vera sicurezza che sono le strutture di sostegno sociale”.

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