Dobbiamo, purtroppo, aggiornare la contabilità delle morti in carcere, soprattutto dei suicidi, due negli ultimi due giorni.
Una contabilità che registra 33 suicidi nei nostri istituti di pena dall’inizio dell’anno.
Il Dubbio, 7 agosto 2018
di Damiano Aliprandi
I suicidi in carcere non si arrestano, continuano al ritmo di quasi uno al giorno. L’ultimo ieri notte nel carcere di La Spezia. La vittima è Nadir Garibizzo, ex medico di 60 anni, detenuto nel carcere di La Spezia con l’accusa di tentato omicidio.
L’ex medico dell’Asl 1 imperiese, radiato dall’ordine dopo aver ucciso la propria amante, negli scorsi mesi aveva tentato di uccidere un bambino di otto anni per vendetta nei confronti del suo avvocato ‘ reà, secondo l’uomo, di aver dismesso il mandato un anno fa e di avergli fatto così perdere la causa. Con questo ultimo suicidio siamo arrivati a quota 33 dall’inizio dell’anno.
Il giorno prima un altro suicidio avvenuto nel carcere Marassi di Genova e riguarda un giovane poco più che trentenne per la prima volta in carcere. Il garante nazionale delle persone private delle libertà Mauro Palma scrive che era detenuto da meno di una settimana e il suo reato era spaccio di lieve entità. Il Garante pone delle riflessioni in merito. “La sua collocazione sociale – scrive Palma nel suo comunicato – era quella di giovane senegalese, con paternità e maternità sconosciute, disoccupato, senza fissa dimora. In sintesi, povero e solo”.
Palma osserva che “piuttosto che centrare ora l’attenzione – seppure doverosa – verso le modalità con cui è stato o meno controllato in Istituto in quei pochi giorni, su come gli sia stato offerto quel riparo psicologico e materiale che è dovuto a ogni nuovo giunto in una istituzione chiusa”, sarebbe il caso che ci interrogassimo socialmente “su quali presidi sociali il mondo esterno offra a tali disperate giovani vite e su come implicitamente tale disinteresse non finisca col gettare tutta la responsabilità su quell’approdo tragico e finale rappresentato dalla reclusione in carcere”.
Intanto la procura di Viterbo ha nominato due periti per l’autopsia del giovane egiziano Hassan e la direzione sanitaria del carcere ha comunicato al Garante regionale dei detenuti Stefano Anastasia che provvederà ad istaurare un regime più rigoroso per valutare se una persona può essere in condizione psicofisica per affrontare il regime di isolamento.
Sì, perché il 21enne egiziano si era impiccato il 23 luglio scorso al carcere di Viterbo proprio in cella di isolamento, salvato in extremis fu portato in ospedale e dopo una settimana di agonia è morto. Ma c’è di più e spunta una ipotesi più inquietante e ha che fare con presunti episodi di violenza che si sarebbero verificati all’interno del carcere viterbese di Mammagialla. Nei mesi scorsi, i collaboratori del Garante regionale, avevano raccolto testimonianze da parte di detenuti che hanno denunciato che sarebbero stati picchiati dagli agenti penitenziari nei locali lontani dalle telecamere di sorveglianza. A seguito di queste denunce – tutte ovviamente da verificare – il garante Anastasìa ha presentato un esposto al procuratore capo Paolo Auriemma.
Nello stesso esposto, era stato sollevato anche il caso di Hassan quando ancora era in vita. Denunciò infatti di essere stato picchiato il 20 marzo, mostrando ai collaboratori del garante dei segni rossi sulle gambe e tagli sul petto ed espresse la preoccupazione di morire. Proprio per questo motivo, Anastasìa chiese il trasferimento in un altro penitenziario, ma non fu mai avvenuto. Secondo la versione del Dap, il 20 marzo Hassan non fu picchiato, ma si ricorse all’uso della forza perché si era opposto a un controllo della sua cella.
L’ordinamento lo prevede, e stando ai sanitari interpellati dal Dap, le sue lesioni sono “incompatibili con un’azione offensi- va in suo danno”. Proprio a causa della sua resistenza ai controlli, per punizione fu messo in cella di isolamento. Ma dopo tre mesi e mezzo da quel fatto. Ci finì, appunto, il 23 luglio e neanche dopo due ore, si era impiccato.
Secondo il Garante Anastasìa, da aprile in poi, Hassan avrebbe dovuto scontare una vecchia condanna di quattro mesi nel carcere minorile. Sì, perché quando commise quel vecchio reato di lieve entità, era ancora minorenne. La legge prevede che fino a 25 anni, se il reato è stato commesso da minorenne, la pena è da scontare nel penitenziario per minori. La direzione del carcere avrebbe dovuto avvisare il Dap e il magistrato di sorveglianza per chiedere il trasferimento. È stato fatto, oppure c’è stata disattenzione?
Il garante Stefano Anastasìa ha scritto alla direzione e ancora attende una risposta. Il suicidio di Hassan è anche diventato un caso diplomatico tra Italia ed Egitto. Infatti il console egiziano subito si è attivato dialogando con la Procura. Per ora il fascicolo aperto in seguito all’esposto presentato dal Garante è senza indagati né ipotesi di reato e non sono coinvolti gli agenti di polizia penitenziaria. Rimane però aperto il fascicolo “istigazione al suicidio contro ignoti” riguardante la morte di Hassan.