Non chiamiamolo volontariato

Ma di cosa stiamo parlando? Il giudice, si legge nell’articolo pubblicato sull’Arena, ha condannato un uomo a quasi due anni ma gli ha concesso la sospensione della pena a condizione che vada “a fare il volontario tre volte alla settimana per tre mesi”.

Noi siamo sempre a favore di condanne a svolgere attività utili invece di restare chiusi in una cella che spreca il tempo, avvilisce la dignità e ostacola una ricostruzione di vita sociale rispettosa della legge. Ma restano forme, legittime e anzi apprezzabili, di costrizione. Il carcere potrebbe intervenire solo in caso di rifiuto o di cattivo adempimento. Chiamarle volontariato è un’ipocrisia che offende soprattutto chi il volontariato lo fa davvero e ci ragiona per definirne l’etica.

Lo stesso si può dire quando vengono imposte come una modalità di riparazione e forse di educazione che si aggiunge agli altri obblighi di una misura alternativa. Che altrimenti non verrebbe concessa. Una specie di ricatto, con le migliori intenzioni e spesso utile. Ma cosa c’entra col volontariato?

E infatti l’articolo conclude con un ossimoro da conservare nel museo degli orrori di stampa: “Ieri il patteggiamento, la revoca della misura e l’obbligo di andare a fare il volontario“.

12 dicembre 2012 – L’Arena: “Perseguita la sua ex – ‘condannato’ a tre mesi di volontariato”