La presidente della CNVG (Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia) ha pubblicato una lettera aperta di denuncia sul drammatico peggioramento delle carceri in Italia, riprendendo analoga denuncia dell’Unione della Camere Penali italiane.
di Ornella Favero.
Il 9 luglio l’Unione delle Camere penali ha indetto, per denunciare la drammatica situazione nelle carceri, una giornata di astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale, che ha avuto al centro una assemblea pubblica a Napoli.
È stata una iniziativa importante, ma ora il Volontariato, che la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia rappresenta, si domanda se non sia possibile andare oltre, e costituire un cartello di tutti quelli che in qualche modo vogliono contrastare questo disastro, quindi naturalmente la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia (di cui fanno parte Antigone, CNCA e tantissime associazioni), le Camere Penali, il Coordinamento dei Garanti, il Partito Radicale, le Cooperative che operano in carcere e nell’area penale esterna, l’Università con i docenti più attenti a questi temi e tutti coloro che hanno profuso il loro impegno e le loro competenze negli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.
Francesco Basentini, il nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ha uno staff composto quasi esclusivamente da Polizia penitenziaria, che aveva prodotto le proposte di modifiche al Decreto Sicurezza che prevedevano, tra l’altro, per chi introduce in carcere cellulari, pene da uno a quattro anni e l’inclusione tra i reati del 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, proposte che non sono state approvate. Noi con la Polizia penitenziaria vogliamo confrontarci e dialogare, ma nel rispetto dei diversi ruoli.
Chiediamo allora, al Capo del DAP, di incontrare i rappresentanti delle nostre realtà, che indiscutibilmente, nella disastrosa crescita del sovraffollamento, costituiscono, per le persone detenute, un sicuro punto di riferimento, e di garanzia di tutela dei diritti. Forse non servirà a molto, però potremmo lanciare in qualche modo una campagna sul fatto che “più carcere produce meno sicurezza“, e potremmo smetterla di coltivare ciascuno il suo orticello e acquisire finalmente consapevolezza del fatto che solo insieme possiamo avere un po’ di forza e di voce.
Servirebbe poi aprire un dialogo su quello che sta frenando l’accesso alle misure alternative, quindi da una parte cercare un confronto pubblico con le aree educative delle carceri, affrontando il tema della rieducazione in modo critico e rivalutando il ruolo dei Gruppi di Osservazione e Trattamento nel costruire per le persone detenute percorsi di effettivo reinserimento, dall’altra estendere questo confronto ai magistrati di Sorveglianza, di cui dovremmo essere interlocutori importanti. E chiedere un incontro con Gemma Tuccillo, Capo del Dipartimento della Giustizia minorile e di Comunità, per affrontare il nodo degli ostacoli che rendono così accidentato il passaggio “dal dentro al fuori”.
Quanto alla vita detentiva, oggi stretta fra i disagi del sovraffollamento e la perdita per le persone detenute di qualsiasi speranza di cambiamento, ci sembra importante ricordare che nella Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo “Sulejmanovic contro Italia” a proposito del sovraffollamento, il giudice Sajo aveva sostenuto che “l’inumanità della situazione risiede nel fatto che lo Stato non ha dimostrato di avere adottato misure compensative supplementari per attenuare le condizioni estremamente gravose derivanti dalla sovrappopolazione del carcere. Esso avrebbe potuto prestare particolare attenzione alla situazione, ad esempio concedendo altri vantaggi ai detenuti. (…) Nel caso di specie, la mancanza di attenzione da parte dello Stato aggiunge una punta d’indifferenza all’acuta sofferenza causata dalla punizione, sofferenza che andava già quasi oltre l’inevitabile“. Oggi ci preme sottolineare che la lezione del sovraffollamento, e delle doverose “compensazioni”, sembra che l’abbiano capita in pochi, basta pensare a tante piccole cose che stanno succedendo nelle carceri, e che vanno in direzione opposta al rispetto dell’umanità e della dignità delle persone, ne ricordiamo alcune:
– Era stata di recente emanata una nuova circolare che imponeva “il coprifuoco” nelle carceri, con spegnimento forzato di luci e televisori a mezzanotte: il detenuto non poteva neppure più scegliersi i ritmi di sonno/veglia, perché c’era qualcuno che decideva dall’alto cosa è bene e cosa è male per lui. La circolare è stata poi “ritirata” dal DAP, dopo critiche molto severe da parte di chi il carcere lo conosce bene, compresa una lettera aperta della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia;
– La Polizia penitenziaria scrive sul suo sito che “finalmente il DAP utilizza 3 milioni e mezzo di euro per bloccare i telefonini (…) introdotti abusivamente negli istituti penitenziari“. 3 milioni e mezzo di spesa per bloccare i telefoninini introdotti abusivamente, ma dai tabulati dei cellulari trovati illegalmente in possesso dei detenuti non emerge forse che, per la stragrande maggioranza dei casi, le telefonate sono fatte a mamme e compagne e figli? Non sarebbe allora il caso di investire denaro e risorse nel potenziare tutte le forme di rapporti con i famigliari, dalle telefonate all’uso di Skype, come stanno facendo, per esempio, in Francia, invece che pensare a nuove pene e nuova galera per chi è trovato in possesso di un cellulare?
– In molte città italiane sono sempre più diffusi i lavori di pubblica utilità che i detenuti svolgono gratuitamente per le amministrazioni comunali: è un’occasione importante di contatto tra il dentro e il fuori, ma forse è il momento di riflettere se ha o meno un senso far lavorare le persone senza che siano pagate, quasi non bastasse la pena che stanno scontando, e farle lavorare scortate e controllate dalla Polizia penitenziaria, con modalità che difficilmente possono servire per costruire autentici percorsi di reinserimento. Riflettiamo allora sul fatto che questo percorso di lavoro volontario per la pubblica amministrazione può avere un senso se inserito in un percorso di lavoro ‘vero’: ad esempio come volontariato il sabato o la domenica, o in altro giorno libero.
– Nel viaggio nelle carceri della Corte costituzionale la giudice Silvana Sciarra è andata a Sollicciano e ha incontrato una rappresentanza di detenuti eletta con regolari elezioni, e ha espresso apprezzamento per questa iniziativa, mettendo in luce quanto sarebbe importante che le persone detenute potessero occuparsi attivamente della loro condizione assumendosi la responsabilità di parlare non solo delle proprie necessità, ma anche di quelle dei loro compagni. Un nostro obiettivo potrebbe essere allora di affrontare con l’Amministrazione il tema della rappresentanza, e di dare valore a qualsiasi iniziativa che voglia davvero realizzare quello che di buono c’è scritto nel Nuovo Ordinamento Penitenziario, che dice che le persone detenute vanno trattate secondo modelli “che favoriscono l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione”.
– Il viaggio della Corte ha fatto tappa anche a Padova, con il giudice Luca Antonini, che ha affrontato il tema del diritto a esprimere liberamente la propria opinione. Un tema non scontato in carcere, dove la scalata alla libertà costringe spesso la persona detenuta ad adeguarsi passivamente alle aspettative delle Istituzioni. Il giudice Antonini ha anche ribadito l’importanza delle testimonianze dei detenuti per far conoscere la realtà del carcere, e non a caso la sfida della società civile che si occupa di pene e giustizia è proprio quella di portare fuori le storie di vita delle persone detenute, fare delle loro esperienze negative momenti di autentica prevenzione, ridare senso alle testimonianze dei “cattivi” mettendole a disposizione dei “buoni”, che hanno bisogno di conoscere di più il male, per allenarsi così a pensarci prima di fare scelte sbagliate.
E sono proprio le nostre organizzazioni a poter dare risalto a queste testimonianze, ponendole al centro di un capillare lavoro di sensibilizzazione, rivolto alle scuole, all’Università, e anche al mondo dell’informazione, per il quale sarebbe importante organizzare seminari di formazione rivolti ai giornalisti, che hanno un grande bisogno di approfondire in modo critico questi temi.
Alle realtà che decideranno di collaborare stabilmente sulla base di questa nostra proposta (che può essere cambiata, messa a punto, stravolta anche, purché resti al centro la questione di fondo, l’importanza di LAVORARE INSIEME), chiediamo di affrontare insieme anche i temi più “spinosi” legati all’ergastolo ostativo, ai circuiti, alle declassificazioni: se infatti ci sono più di 9000 persone rinchiuse nei circuiti di Alta Sicurezza, è anche perché il sistema è paralizzato, e noi in questi anni non siamo riusciti a dire parole chiare sulla necessità di mettere in discussione la permanenza per decenni dei detenuti in questi circuiti. È ora di farlo, a partire da quelle informative delle Direzioni distrettuali antimafia, che non possono più essere una fotografia del passato.
Francesco Basentini ha affermato che “41 bis e Alta Sicurezza non devono più essere tatuaggi indelebili nelle vite delle persone”: chiediamogli allora che questa affermazione trovi finalmente applicazione concreta nelle carceri.
Fissiamo insieme una data e un luogo per incontrarci al più presto.
Per la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
Ornella Favero