L’ergastolo: una morte mascherata

Dal libro “Gli uomini ombra” di Carmelo Musumeci ha preso vita il convegno di venerdì 27 maggio in Sala Morone, presso il convento di San Bernardino.

Carmelo è un uomo condannato all’ergastolo ostativo. In pochi sanno il significato di questa parola, eppure in Italia sono circa 1.200 le persone condannate a questa pena. E’ la condanna alla reclusione in carcere senza la speranza di alcun tipo di beneficio, per chi ha commesso reati di associazione mafiosa e ha scelto di non collaborare con la giustizia. In apertura dell’incontro viene proiettato “Percorsi sbarrati”, un video realizzato dagli stessi ergastolani del carcere di Spoleto: http://www.youtube.com/watch?v=pZnUuSfe7Yg.

Un ospite speciale, l’attore e regista teatrale Roberto Puliero, introduce il tema leggendo alcune pagine di racconti del libro, come “L’assassino dei sogni”. Così Musumeci definisce il sistema che rinchiude un uomo condannato all’ergastolo ostativo.

Dopo di lui, Giuseppe Angelini della “Comunità Papa Giovanni XXIII” di Spoleto, figura di riferimento per il detenuto all’interno del carcere di Spoleto, descrive l’“uomo ombra” con gli occhi di chi ne ha conosciuto la parte più intima, più vera. Parla di un marito, di un padre, che per vent’anni vede i propri familiari solo attraverso un vetro e per brevissimi momenti.

Alberto Laggia, giornalista di Famiglia Cristiana, invece, parla dell’“uomo ombra” che dopo vent’anni esce dal carcere solo per 12 ore, il giorno della sua laurea in Giurisprudenza. Lo sguardo sempre attento sull’orologio, la sensazione che il tempo fuori scorra molto più veloce che dentro, questa è l’immagine che il giornalista cattura per il pubblico. Un’immagine quasi al limite tra sogno e realtà: un uomo invisibile che appare e poi subito scompare dal mondo. Per andare dove? Forse in una sorta di limbo, come lo considerano quanti parlano di una morte lenta, una morte da vivi, una morte mascherata.

Da qui uno dei temi del dibattito: se la Costituzione stabilisce che la pena debba avere fini rieducativi (art. 27) e tendere alla risocializzazione, l’ergastolo, e soprattutto quello ostativo, hanno questo scopo?

Il sostituto procuratore della Repubblica del tribunale di Verona, Marco Zenatelli, ricorda che questa forma di ergastolo deriva dall’inasprimento delle pene conseguente ai reati di mafia degli anni 90 (omicidi Falcone e Borsellino). L’affermazione sembra giustificare il tipo di pena sulla base del tipo di reato. Come se di fronte a determinate azioni fosse legittimo scavalcare i principi costituzionali in vista della tutela dei diritti delle vittime. Proprio su questo punto nasce un altro importante interrogativo: l’Uomo – reo non ha diritto ad essere tutelato quanto l’Uomo – vittima?

Preoccupanti i dati, proiettati su uno schermo, che Giuseppe Longo, della "Comunità Papa Giovanni XIII" di Vicenza, commenta. Uno in particolare si collega al tema del convegno: la morte in carcere. Sono 173 i morti in cella nel 2010, tra i quali 66 suicidi. Non si tratta solo di persone condannate a morire in carcere, ma di persone che avranno un fine pena. Se il gesto di queste persone è spesso dettato dalla sensazione di non avere più alcuna speranza, non è poi così difficile immaginare quale potrebbe essere la reazione di una persona che una speranza davvero non ce l’ha.

L’intervento conclusivo dell’incontro sposta l’asse della riflessione su un’altra questione fondamentale.

Fra Beppe Prioli, fondatore dell’associazione La Fraternità, da anni impegnato nella difesa dei diritti dei detenuti e dei loro familiari, rivolgendosi direttamente all’“esperto giuridico”, pone un quesito: l’uomo chiuso per 20 ore al giorno nella cella da 20 anni è lo stesso che aveva commesso il reato? Il tema delicato e importante suscita pensieri ed emozioni contrastanti a cui è difficile dare una risposta. Una questione universale, poiché chiama in causa i diritti dell’uomo, che tuttavia evoca sentimenti e idee profondamente individuali.

Vedi anche il resoconto de “L’Arena”