la cultura in carcere

Di Agnese Moro

Forse non tutti sanno che il nostro sistema pubblico di istruzione – scuole e università – è impegnato anche nelle carceri a garantire ai detenuti, tra mille difficoltà, il diritto allo studio. E’ un compito davvero importante per un Paese come il nostro che, dalla nascita della Repubblica in poi, ha considerato la crescita culturale di tutti parte integrante della lotta per la dignità delle persone e fondamento della partecipazione democratica. Idea che si sposa perfettamente con la funzione riabilitativa e di reinserimento sociale che la nostra Costituzione affida alle pene. Mano mano, a fianco degli insegnamenti curriculari, sono nate ulteriori esperienze formative, che traggono la loro forza dalla possibilità di una riflessione personale e corale tra docenti di diverse discipline, studenti detenuti e non, patrimonio culturale, esperienze.

In questo ambito mi sembra sia particolarmente significativo il progetto “Leggere Eschilo a Rebibbia”, proposto dalla professoressa Cristina Pace, docente di Drammaturgia antica alla facoltà di Lettere dell’Università di Tor Vergata di Roma e a Rebibbia. “Lo spunto iniziale – dice – è venuto dal progetto dei “Classici Contro”, iniziativa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che propone annualmente un tema sociale su cui gli studenti delle superiori sono invitati a lavorare a partire dai testi degli autori classici”.

“Leggere Eschilo a Rebibbia” è un progetto originale, che ha visto diverse componenti lavorare separatamente, condividendo poi in un incontro i diversi risultati. Filo conduttore: l’Orestea di Eschilo. Protagonista nel laboratorio di lettura nel reparto G12 di Alta sicurezza del carcere di Rebibbia, con la partecipazione di studenti detenuti e del gruppo di studenti esterni “Vietato l’ingresso” dell’Università di Tor Vergata. Ma anche oggetto di una proposta rivolta agli studenti dei Licei Foscolo di Albano, Cicerone di Frascati e Russell di Roma; sostenuta da attività teatrali e da lezioni di diritto penale. Esito del progetto è un dialogo a distanza, ma intenso. Con Eschilo che ci mette in guardia dal confondere la giustizia con l’obbedienza ai sentimenti o alla volontà divina. Con gli studenti del Foscolo che non esprimono odio o disgusto, ma tristezza e desiderio di un recupero; di un ritorno; fiducia nel cambiamento; condanna per le condizioni di detenzione. Con i detenuti desiderosi di capire fino in fondo quello che hanno fatto. Proseguendo quella riflessione che da 2.500 anni ci impegna a cercare la giustizia e la sua essenza. —