Italia: “emergenza” cronica delle carceri, un quarto non hanno un direttore.

Questo articolo di Fiammetta Cupellaro, giornalista di “Repubblica”, analizza in maniera sintetica ma allo stesso illuminante, la disastrosa situazione delle carceri italiane per quanto riguarda le direzioni.

Le ultime assunzioni risalgono al 1996. Così ora c’è chi è responsabile del minorile di Torino e poi deve volare a Bari e chi ha un triplo incarico in Sardegna. Inchiesta.

Le ultime assunzioni risalgono al 1996. Così ora c’è chi è responsabile del minorile di Torino e poi deve volare a Bari e chi ha un triplo incarico in Sardegna. Inchiesta.

“Ma io lei l’ho già vista”. Quando l’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia entra nel carcere di Tempio Pausania, Sardegna, resta di sasso: ad accoglierla è lo stesso direttore che ha incontrato qualche settimana prima all’istituto di pena a Busto Arsizio, Lombardia. Non un sosia, era proprio Orazio Sorrentini. Perfetta incarnazione dell’ultima emergenza nel pianeta dietro le sbarre: la carenza di personale che trasforma i dirigenti in pendolari, costretti a occuparsi di più sedi. Anche tre. Una nuova figura di direttore-viaggiatore, che vola sugli aerei e sfreccia sui treni ogni settimana, o macina chilometri in auto, spostandosi da una regione all’altra, dalla terraferma a un’isola, dal Piemonte alla Puglia. Per occuparsi di ragazzini e di adulti, di reclusi comuni e di quelli che vivono nei penitenziari ad alta sicurezza.

Dalla Toscana al Piemonte – Come Elisa Milanesi, direttrice del carcere di Alghero ma responsabile, anche, di quello di Oristano e della colonia penale di Is Arenas. O come Domenica Belrosso: due giorni alla settimana è all’istituto penitenziario per minorenni di Pontremoli, Toscana, per poi partire subito perché è anche responsabile dell’area amministrativa contabile di Piemonte e Liguria.

Doppie sedi, tripli incarichi. Marco Porcu da sei anni dirige l’istituto di pena di Cagliari, ma è responsabile pure del carcere di Lanusei, provincia di Nuoro, e della colonia penale di Isili, Sud Sardegna. “Vivo al telefono e al computer 12 ore al giorno” racconta Porcu, 52 anni, padre di due bambini. “Ogni giorno stabilisco priorità ed emergenze in ogni struttura, decido cosa delegare agli altri dirigenti e quando e dove è, invece, fondamentale la mia presenza. Coinvolgo il più possibile gli educatori e i collaboratori, ma alla fine sono io a prendere le decisioni”. Un cambio di passo che ha mutato profondamente anche la sua, di vita. “Quando dirigevo solo l’istituto del capoluogo” spiega il direttore, “mi occupavo di circa 500 detenuti. Riuscivo ad ascoltarli, a dialogare. Ora sono mille. Il raddoppio dei reclusi da seguire ha moltiplicato i problemi. E anche il bisogno di energie da parte mia. Faccio quasi sempre due cose insieme: mi capita, contemporaneamente, di firmare documenti che arrivano dagli uffici giudiziari, dalle Asl e dal ministero, e di parlare al telefono con il magistrato di sorveglianza o con l’ufficio matricola per gestire il più rapidamente possibile le uscite e gli accessi dei detenuti. Poi ci sono le riunioni con i gruppi interdisciplinari, con il personale del carcere, con le cooperative e i volontari che gestiscono le attività, una parte fondamentale: qui siamo riusciti a portare avanti progetti di lavoro importanti. Spesso, per non rinviare decisioni che possono alleggerire la vita dei detenuti, facciamo le riunioni in videochiamata. Poi ci sono le emergenze, i ricoveri, gli incontri con le strutture esterne. Insomma, un carcere è una cittadella con tanti problemi. Se poi di cittadelle ne hai altre due, la giornata lavorativa non finisce mai”.

Con le dovute differenze, i direttori delle carceri oggi sono come i presidi che, volenti o nolenti, devono gestire più scuole, diverse e distanti. “Il tempo libero? Me lo ritaglio all’alba. Mi alzo alle 5 per andare in palestra o in bicicletta. Altrimenti vivrei recluso anch’io”. Le vacanze sono un gioco a incastri con le sostituzioni, visto che quando uno dei colleghi che lavorano in Sardegna si assenta, tocca coprire anche i “suoi” istituti. E così le prigioni da sovrintendere possono diventare quattro. I chilometri in auto ogni settimana, centinaia. Per contro, lo stipendio non è male: circa 3.500 euro netti al mese. Ma per ogni giorno di trasferta il guadagno è minimo: solo 10 euro.

“Non si possono lasciare le carceri senza un direttore a tempo pieno” ha detto il nuovo ministro della Giustizia Carlo Nordio, che come primo atto ha annunciato cambi al vertice del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (da due settimane lo guida il magistrato partenopeo Giovanni Russo). Del resto, il direttore è la figura centrale di ciò che accade dentro e fuori dalle celle. Dall’istituto più piccolo e periferico fino al penitenziario di massima sicurezza è il direttore a creare le opportunità di reintegrazione, ad attivare le possibilità di lavoro. Eppure 43 istituti di pena italiani (su 190) sono rimasti senza guida, o ne hanno avuta una part-time. Il problema si trascina da oltre vent’anni: era il 1996 quando sono stati assunti gli ultimi dirigenti penitenziari. Nel 2020 è stato annunciato il nuovo concorso. Per tutto questo tempo, affrontando emergenze come l’affollamento delle celle, il lavoro sociale, il problema della tossicodipendenza, il disagio psichiatrico e la pandemia, i direttori sono stati uni e trini. Inoltre, occorrerà tempo prima che i vincitori del concorso diventino operativi. Ultimata la formazione, infatti, ci sarà un periodo di affiancamento con i più anziani, poi verrà assegnata la sede. Forse a settembre.

Il volo sullo Stivale – Un altro caso eclatante di doppi e tripli incarichi è la Sicilia, che ha il maggior numero di istituti di pena in Italia: ben 23. Perfino il direttore dell’Ucciardone, Fabio Prestopino, deve occuparsi di un altro istituto (il circondariale di Trapani). Oltre mille detenuti in sedi ad alta tensione dovuta anche alla presenza di mafiosi. E Giovanna Re, vice direttrice di Maria Luisa Malato che dirige il carcere di massima sicurezza Pagliarelli di Palermo (con 1.800 detenuti), si divide con la casa circondariale di Sciacca.

Non che nel Centro Italia o al Nord vada meglio. Giuseppe Renna, direttore del carcere di San Gimignano, per esempio, è il reggente della casa circondariale di Arezzo. Clamorosa la situazione in Piemonte. “Le carceri sono 13 e sotto la nostra responsabilità c’è anche quella della Val d’Aosta. I direttori? Solo sette” spiega Bruno Mellano, garante dei detenuti piemontesi e valdostani, “e peggiorerà. Diversi dirigenti hanno chiesto il trasferimento, le nostre sedi sono considerate difficili”. Nel dettaglio: Novara e Biella, due sedi un direttore, Rosalia Marino. Così come Asti e Vercelli, con Francesca Dacquino. I quattro istituti a breve potrebbero trovarsi senza nemmeno le due direttrici: entrambe hanno chiesto un’altra sede. A Ivrea, Antonella Giordano si fa in tre: dirige sia il carcere della cittadina piemontese, sia quello di Aosta ed è pure al comando dell’ufficio risorse e personale del Provveditorato a Torino. “Ma il caso più eclatante” racconta Mellano “è quello di Simona Vernaglione, che sovrintende il minorile torinese, Ferrante Aporti, struttura delicata, e guida l’ufficio trattamento detenuti di Bari. Ogni settimana questa dirigente capace e preparata sale su un aereo per trasferirsi in Puglia, dove rimane per almeno due giorni”.

L’evasione del Beccaria – Da una settimana l’istituto più grande, le Vallette di Torino, 1.400 reclusi, è senza guida: Cosima Buccoliero è infatti in aspettativa perché candidata come capolista per il Pd alle prossime regionali in Lombardia. Non è nuova ai doppi incarichi. Dirigeva il carcere di Bollate (un esempio di apertura verso l’esterno e di reinserimento dei detenuti attraverso il lavoro) e, insieme, il minorile milanese Beccaria. Trasferita a Torino, al Beccaria non l’hanno sostituita: che sia questo vuoto una delle spiegazioni della clamorosa evasione di Natale?

“Il Beccaria mi ha segnato molto” dice Buccoliero. “Ci andavo ogni settimana. E ogni volta dovevo cambiare modo di ragionare, perché i detenuti sotto i 18 anni sono completamente diversi dagli altri. I ragazzi hanno bisogno di muoversi e di stare più tempo possibile fuori dalle celle. Purtroppo, al Beccaria la ristrutturazione continua dal 2006 e gli spazi per la socialità sono ridotti. Alcuni giovani reclusi vengono trasferiti in sedi distanti, e così sono ancora più lontani dalla famiglia. Le evasioni sono dovute anche a questo: quando un ragazzo scappa, anche dalle comunità, lo ritroviamo quasi sempre dai nonni o dagli zii. Il direttore è il punto di riferimento adulto per i ragazzi. Serve la sua presenza costante, non part time e su fronti multipli”.

Finale di partita – Sono le 20 quando Marco Porcu rientra a casa, dopo aver chiuso, mentre è al volante, l’ultima telefonata con le carceri di Lanusei e Isidi. La giornata tipo del direttore-pendolare, iniziata all’alba, sembra finita. Fino a quando nella notte c’è un’emergenza in uno dei “suoi” tre istituti. “Il mio incubo sono i suicidi in cella. Occuparsi di detenuti significa mettersi in relazione con le fragilità delle loro vite. Vorrei avere il tempo di incontrarli più a lungo, non solo di occuparmi delle incombenze e delle necessità quotidiane. Ma nonostante tutto non cambierò lavoro, non ci penso proprio. Questo triplo incarico mi ha fatto scoprire capacità di resistenza che non pensavo di avere”.