Il primo processo per tortura da parte della Polizia Penitenziaria

Ha fatto molto scalpore il rinvio a giudizio di quattro agenti della Polizia Penitenziaria del carcere di San Gimignano per il reato di tortura nei confronti di un trentaduenne tunisino, perché è la prima volta che succede in Italia. Sempre aspettando che il processo chiarisca se le accuse sono fondate, sentiamo la necessità di ribadire che la maggioranza degli agenti di Polizia Penitenziaria fanno forse anche più del loro dovere.
E se dal dibattimento emergerà che alcuni hanno fatto questo, vanno condannati solo loro, e vanno condannati anche dalla stessa Polizia e dal ministro, che in questa occasione sembra assente.
Qui sotto l’articolo del giornalista Luigi Ferrarella apparso oggi sul quotidiano “Corriere della Sera” .

Di Luigi Ferrarella
Quattro agenti della polizia penitenziaria del carcere di San Gimignano, accusati anche di tortura su un detenuto, sono stati rinviati a giudizio dalla gup Roberta Malavasi a Siena. E’ la prima volta che pubblici ufficiali sosterranno un processo per questo reato.

Per la prima volta in Italia si terrà un processo per l’ipotesi di reato di «tortura» in un carcere: ieri al Tribunale di Siena il giudice dell’indagine preliminare Roberta Malvasi ha ordinato il rinvio a giudizio di 4 agenti di polizia penitenziaria del carcere di San Gimignano per il pestaggio di un detenuto l’11 ottobre 2018 inquadrato dalla pm Valentina Magnini appunto nella nuova fattispecie introdotta dalla legge 110 del 14 luglio 2017; e nel contempo la giudice, oltre a rinviare a giudizio per «abuso d’autorità» anche l’ispettore responsabile del reparto per aver messo il detenuto in isolamento disciplinare cautelare, ha condannato a 4 mesi (in rito abbreviato scelto dall’imputato) un medico del carcere per «omissione d’atti d’ufficio» nel «non aver visitato il detenuto in isolamento nei cui confronti era stato fatto uso della forza». Il processo si aprirà nel maggio prossimo.

Il video

«Chi sbaglia paga ma non mi sembra questo il caso, se c’è un video delle presunte torture venga mostrato!», aveva invocato il segretario leghista ed ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, quando il 26 settembre 2019 aveva raggiunto il carcere per «incontrare gli uomini e le donne in divisa di polizia penitenziaria che non meritano di esser trattati come delinquenti, assassini o torturatori: tra guardie e ladri io sto sempre dalla parte delle guardie». Proprio quel video, registrato dalle telecamere interne di sorveglianza, è invece la principale documentazione sulla cui base la gup ha deciso che gli agenti vadano processati per avere «causato acute sofferenze fisiche e trattamento inumano e degradante» a un 32enne detenuto tunisino «con il pretesto di doverlo trasferire a un’altra cella» e «al solo scopo di intimidire lui e gli altri detenuti in isolamento» nel circuito di alta sicurezza.

Le accuse

Secondo la ricostruzione dell’accusa, in 15 agenti (gli altri sono indagati in uno stralcio) avrebbero «previamente indossato guanti di lattice», circondato il detenuto «in modo da creare parziale schermo rispetto alle telecamere», «sferrato un pugno sulla testa», «colpito con i piedi in varie parti del corpo», «minacciato” sia lui («Figlio di p… perché non ne torni al tuo Paese? Non ti muovere o ti strangolo! Ti ammazzo!») sia gli altri detenuti che assistevano («Infami, pezzi di m…, vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano»). Un agente di grande stazza sarebbe poi «montato addosso al detenuto con il suo peso, ponendogli un ginocchio sulla schema all’altezza del rene sinistro», mentre al detenuto venivano «tolti i pantaloni», e tra «schiaffi e pugni» era trascinato nella nuova cella «senza pantaloni e senza fornirgli coperte e materasso della branda almeno sino al giorno seguente».

La difesa

Gli agenti, difesi dai legali Manfredi Biotti, Fabio D’Amato, Roberta Gialli e Sergio Delli, ribattono di aver solo dovuto far fronte al fatto che il detenuto avesse opposto resistenza al trasferimento di cella e che dunque, tanto più «visto che le intemperanze interessavano tutti i detenuti», si fosse reso necessario l’uso della forza: ma la circostanza, attestata dagli agenti anche nelle relazioni di servizio, per il giudice non ha trovato riscontro e anzi è contraddetta dal video, determinando così (accanto ad accuse di «lesioni personali» e «minaccia») anche imputazioni di «falso in atto pubblico». «Avevamo fatto presenti — ha sottolineato Biotti — una serie di questioni sulle indagini, sulla situazione, sulla tipologia di reato. Il Gup ha fatto un mero rinvio a giudizio senza decidere niente perché può farlo non essendo obbligato e rimettendo quindi la palla al tribunale».

Il ministero

Curioso l’atteggiamento del ministero della Giustizia nel procedimento in cui, oltre al detenuto, si sono costituti parti civili il Garante nazionale Mauro Palma con l’avvocato Michele Passione, e le associazioni L’Altro Diritto, Antigone e Yairaiha con i legali Raffaella Tucci, Simona Filippi e Simonetta Crisci: da un lato non si è costituito parte civile, dall’altro lato (una volta che è stato citato in giudizio come «responsabile civile») al momento fissato per le conclusioni i due legali dell’Avvocatura dello Stato non hanno rassegnato alcuna conclusione.