di Annachiara Valle
Famiglia Cristiana, 17 gennaio 2018
“Ogni pena deve avere un orizzonte, l’orizzonte del reinserimento, devo prepararmi per il reinserimento, questo dovete esigerlo da voi stesse e dalla società”, dice il Papa incontrando 400 detenute nel carcere femminile di Santiago affidato dal Governo, fino al 1996, alle suore della Congregazione del Buon Pastore.
È suor Nelly Leon dare il benvenuto a papa Francesco nel carcere femminile “San Joaquin”, a Santiago. L’istituto di pena che per oltre cento anni, fino al 1996, il Governo aveva affidato alle suore della Congregazione del Buon Pastore. Poco più di 400 detenute che rappresentano, dice la suora, i 50mila detenuti di tutto il Paese, di cui quasi 4mila donne. “Povere donne perché in Cile viene incarcerata la povertà”. È la prima volta che Francesco, nei suoi viaggi internazionali, visita un carcere femminile. Le detenute sono emozionate. Gli vanno incontro con i loro figli. Il Papa, dopo i saluti, e prima di posare per una foto di gruppo con le guardie carcerarie, dona alla struttura un bassorilievo in ceramica raffigurante Maria in atteggiamento di preghiera. E alla Vergine Francesco affida tutte le donne, anzi “le sue figlie” perché “vi copra con il suo mantello”.
Un discorso breve, ma toccante quello di Bergoglio. All’ingresso, accarezzando i piccoli aveva chiesto di ciascuno il nome, si era fermato a scherzare. Poi, dopo aver ascoltato la testimonianza di Janeth Zurita, una delle detenute, che, a nome di tutte, aveva espresso il dolore per “i nostri figli e figlie che sono quelli che soffrono di più per i nostri errori” e la gratitudine per i cappellani e le suore, gli agenti pastorali e i volontari che “senza nulla in cambio vengono settimana dopo settimana a dividere la fede e la grazia di Gesù che ci solleva dalla tristezza”, il Papa ha voluto rispondere alle sollecitazioni. “Papa amico dei poveri e della giustizia”, lo aveva chiamato suor Nelly, “Papa amico dei poveri e degli scartati”, ha aggiunto Janeth. Ricordando che “i nostri figli scontano anche loro la pena anche se sono innocenti” e chiedendo “perdono a Dio, ma anche alla società”.
Dal soffitto della palestra pendono tanti striscioni con le frasi che papa Francesco ha detto visitando, in questi anni, altri istituti di pena. Un calore che lo commuove. Ringrazia papa Francesco, per “l’opportunità che mi offrite di potervi visitare: per me è importante condividere questo tempo con voi e poter essere più vicino a tanti nostri fratelli che oggi sono privi della libertà. Grazie Suor Nelly per le Sue parole e specialmente per la testimonianza che la vita trionfa sempre sulla morte. Sempre Grazie Janeth per aver avuto il coraggio di condividere con tutti noi i tuoi dolori e quella coraggiosa richiesta di perdono”.
Parla del peccato che coinvolge tutti, ma soprattutto della pena che deve tendere al reinserimento. “Dovete esigerlo da voi stesse e dalla società”, dice Francesco. Si rivolge a loro che sono soprattutto madri e che come “madri sapete cosa significa dare la vita. Avete saputo “portare” nel vostro seno una vita e l’avete data alla luce. La maternità non è e non sarà mai un problema, è un dono, uno dei più meravigliosi regali che potete avere. Oggi siete di fronte a una sfida molto simile: si tratta ancora di generare vita. Oggi vi è chiesto di dare alla luce il futuro. Di farlo crescere, di aiutarlo a svilupparsi. Non solo per voi, ma per i vostri figli e per tutta la società”.
Generare il futuro significa non farsi “cosificare”, non cedere alle logiche “che trasformano le persone in cose e che finiscono per uccidere la speranza. Ma noi siamo tutte persone e come persone abbiamo questa dimensione della speranza, non lasciamoci cosificare, non lasciamoci ridurre a numeri. Io non sono il numero tal dei tali, sono una persona e questo genera speranza”.
Scontare la pena non significa essere privati di speranza, sogni e dignità. Insiste papa Francesco: “La dignità non si tocca a nessuno. Nessuno può essere privato della dignità. Voi siete private della libertà. Da qui consegue che bisogna lottare contro ogni tipo di cliché, di etichetta che dica che non si può cambiare, o che non ne vale la pena, o che il risultato è sempre lo stesso. Come dice quel personaggio facciamo qualunque cosa e poi tutto finisce nel forno. No, Care sorelle, no! Non è vero che il risultato è sempre lo stesso. Ogni sforzo fatto lottando per un domani migliore – anche se tante volte potrebbe sembrare che cada nel vuoto – darà sempre frutto e vi verrà ricompensato”.
E poi parla dei figli, che “sono forza, sono speranza, sono stimolo. Sono il ricordo vivo che la vita si costruisce guardando avanti e non indietro. Oggi siete private della libertà, ma ciò non vuol dire che questa situazione sia definitiva. Niente affatto. Sempre guardare l’orizzonte, in avanti, verso il reinserimento nella vita ordinaria della società”. A braccio aggiunge: “Una condanna senza futuro non è una condanna umana, è una tortura, ogni pena deve avere un orizzonte, l’orizzonte del reinserimento, devo prepararmi per il reinserimento, questo dovete esigerlo da voi stesse e dalla società”.
E proprio perché pensano al reinserimento, Francesco loda i progetti come “Espacio Mandela” e “Fundación Mujer levántate”. “Il nome di questa Fondazione mi fa ricordare quel passo evangelico in cui molti prendevano in giro Gesù perché diceva che la figlia del capo della sinagoga non era morta, ma addormentata. Di fronte allo scherno, l’atteggiamento di Gesù è paradigmatico: entrando dove stava lei, la prese per mano e le disse: “Fanciulla, io ti dico: alzati!”. Per tutti era morta, per Gesù no. Questo tipo di iniziative sono segno vivo di Gesù che entra nella vita di ognuno di noi, che va oltre ogni scherno, che non dà per persa nessuna battaglia, ci prende per mano e ci invita ad alzarci.
Che bello che ci siano cristiani e persone di buona volontà, di qualunque religione e anche senza religione che seguono le orme di Gesù e sanno entrare ed essere segno di quella mano tesa cha fa rialzare. Io te lo chiedo: alzati, sempre rialzarsi”. E infine, prima di chiedere di pregare per lui e dare la benedizione, il Papa parla della “sicurezza pubblica” che “non va ridotta solo a misure di maggior controllo ma soprattutto va costruita con misure di prevenzione, col lavoro, l’educazione e più vita comunitaria”