Il carcere, le mamme e i loro figli.

Il mondo sommerso dei bambini in carcere: un docufilm lo racconta

“Affiorare” ed è il documentario realizzato da Rossella Schillaci negli istituti di pena tra Torino, Milano e Venezia dove le detenute vivono insieme ai figli. Un progetto che racconta una realtà dura senza perdere la poesia.

Un mondo sommerso e lontano, fatto di pensieri, sogni e incubi. È il carcere visto dalle mamme e dai loro bambini raccontato nel documentario Affiorare della regista torinese Rossella Schillaci, tra le poche in Italia a sperimentare la realtà virtuale (VR). Prodotto da Mybosswas e Laranja Azul il film sarà proiettato in prima visione in Francia nel prestigioso Festival Internazionale di Animazione di Annecy (dal 13 al 18 giugno). 

Dopo anni di lavoro, Affiorare è venuto alla luce proprio nei giorni in cui la Camera ha approvato (241 voti favorevoli e 7 contrari) la proposta di legge del deputato dem Paolo Siani di istituire delle case protette dove le donne in gravidanza e le mamme con figli possano scontare la pena al posto del carcere. Se il Senato approverà il testo verrà finalmente spianata la strada per un percorso che ha l’obiettivo di rendere i primi sei anni di vita dei piccoli più umani. Attualmente infatti i bambini fino a quell’età vivono con le loro mamme dietro le sbarre. Escono per andare a scuola, ma poi tornano dentro, come piccoli reclusi. 

Il documentario unisce l’intensità della realtà (sembra di essere seduti nella cella con le mamme) alla poesia delle immagini realizzate con le animazioni che ricostruiscono quel mondo sommerso da cui affiorano le speranze e le paure. «Mia figlia è stata con me fino ai 4 anni» racconta nel film una mamma detenuta. «So che si sentiva sola. Non c’erano altri bambini. Eravamo solo io e lei. Guardavamo i muri e l’aria, su nel cielo». Piccoli, ma già grandi. «Una notte mi sono ritrovato senza la mamma. Me l’avevano portata via senza che potessi salutarla» ricorda un bambino. «È stato come essere stati traditi». E una piccola: «Io vorrei una stanza con un terrazzo perché dal terrazzo si vede il mondo». La paura del distacco incombe ogni giorno su questi bambini: «Io vorrei stare solo con mia mamma e non separarmi mai». 

Da sempre sensibile alle questioni sociali, come dimostrano i precedenti lavori Altra EuropaNinna Nanna Prigioniera e Libere, Schillaci torna ad affrontare il carcere dando la parola per la prima volta ai bambini. I loro volti non si vedono mai, ma si sentono le loro voci affiorare da un mondo sommerso e lontano dalla nostra quotidianità. Raccontano cosa provano, senza mai chiedere alle loro mamme perché si trovano lì. A modo loro sanno che la risposta a quella domanda farebbe troppo male. 

Da dove comincia l’idea di Affiorare?

Qualche anno fa ho cominciato a guardare i documentari realizzati con la realtà virtuale e ne sono rimasta colpita perché mi sembrava che le possibilità espressive fossero di gran lunga maggiori rispetto a quelli tradizionali. Così, durante il mio dottorato a Lisbona in Nuovi media applicati alle scienze sociali e antropologiche, nel 2018 ho scritto il progetto. Avevo già lavorato nel carcere Lorusso e Cotugno per Ninna Nanna prigioniera, ma sentivo che mi mancava qualcosa da raccontare e quel qualcosa erano i bambini. Volevo che lo spettatore sentisse cosa si prova a essere in una cella, che fosse lì vicino alle mamme e ai bambini, che ascoltasse le loro voci. La VR dà questa possibilità e spero che chi lo guarda possa comprendere cosa significhi per i bambini stare dentro.

Cosa ne pensa della nuova proposta di legge?

Penso che sia una legge attesa da molto e quindi considero ottimo che sia passata alla Camera. Tuttavia ho visto che sono stati proposti alcuni emendamenti restrittivi che, se venissero approvati, toglierebbero ad alcune mamme questa possibilità. In pratica alcune donne non potrebbero accedere alle case famiglia protette. Non metto in discussione la colpevolezza e la pena, penso soltanto che i loro figli continueranno a rimanere dietro alle sbarre. Spero che su questo si rifletta molto bene e che ci si domandi se non sia il caso di concedere lo stesso trattamento a tutte le mamme con figli. 

Tornando al suo documentario. Dov’è stato girato?

In parte nell’Icam e nell’ex carcere Le Nuove a Torino, poi in una casa famiglia protetta a Milano e, infine, a Venezia. Per Venezia ho utilizzato delle immagini di edifici diroccati a Poveglia. Molte delle mamme con le quali ho parlato provenivano dal carcere di Venezia, descritto come un luogo sommerso, come se fosse un altro mondo. Ho iniziato a lavorare su questa suggestione, sempre presente nel film con il rumore dell’acqua e la presenza di diverse creature immaginarie disegnate dall’illustratrice portoghese Beatriz Bagulho.

Come si è avvicinata ai bambini?

Ho pensato subito alle animazioni perché è un modo per raccontare l’immaginario dei bambini. Mi sono accorta del loro immaginario perché passavano molto tempo alla finestra e a volte mi mettevo vicino a loro. Ho realizzato che vedevano tante cose che io non vedevo come uccelli, cani e altri animali. Così è nata l’idea di entrare in contatto con loro attraverso i disegni. Insieme all’illustratrice veneziana Anna Forlati abbiamo tenuto molti laboratori nell’Icam di Torino e da quei disegni e racconti sono riuscita a entrare nel loro mondo. Inoltre le immagini sono più delicate rispetto al racconto diretto di un vissuto che viene svolto in carcere con uno psicologo. 

Com’è stato girare in VR?

È un’esperienza totalmente nuova come regista. Con la VR hai una macchina che riprende a 360 gradi con sei obiettivi che registrano in ogni direzione e quindi bisogna inventarsi dei nuovi modi per esempio per l’illuminazione, altrimenti si vedono le luci. Per me è stata una sfida perché ero abituata a stare vicino alle persone, mentre in questo caso ero nascosta o dietro a un albero o a una tenda o a un balcone! Si lavora molto di preparazione con le persone e poi anche di improvvisazione. Un altro aspetto strano è che non ho potuto montare nulla delle riprese, come invece ero solita fare, perché servono dei computer molto potenti. Il montaggio consiste poi nel mettere insieme le immagini di sei obiettivi e cucirle ai margini. Nonostante la difficoltà realizzare un documentario in VR ti spinge ad affrontare una serie di questioni dal punto di vista autoriale e a collaborare molto di più con tutti. 

È complicato portarlo in Italia?

No, i visori si possono noleggiare. Ci piacerebbe portarlo nelle scuole. Mi piacerebbe portarlo nelle carceri e farlo vedere a quei bambini che spero che possano al più presto trascorrere la loro infanzia a casa loro o in una casa protetta e non in un luogo di detenzione.