I penalisti e il populismo

Contro il populismo più forti le idee liberali della giustizia penale.

Gian Domenico Caiazza (Presidente dell’Unione Camere penali italiane)

Il congresso sorrentino dei penalisti italiani ha tracciato con chiarezza il percorso che l’Unione delle camere penali Italiane dovrà seguire nel prossimo biennio; un percorso d’altronde ineludibile alla luce della tumultuosa trasformazione del quadro politico nazionale. I temi della giustizia penale, infatti, sono al centro del programma

politico del nuovo governo gialloverde, costituendone il connotato identitario addirittura più marcato e condiviso tra i due partner della nuova maggioranza.

D’altro canto, Giovanni Fiandaca già ci ammoniva ricordandoci che se “la patente di populista può essere concessa a quanti utilizzano tecniche retoriche o manipolative di acquisizione del consenso, a loro volta costruite intorno alla pretesa di essere gli interpreti più autentici e i difensori più credibili degli interessi del popolo, a prescindere, invero, da ogni rapporto di effettiva corrispondenza tra ideologia e realtà”, è certo che “l’ispirazione populistica si è notoriamente

tradotta in una accentuata strumentalizzazione politica del diritto penale, e delle sue valenze simboliche, in chiave di rassicurazione collettiva rispetto a paure e allarmi a loro volta indotti, o comunque enfatizzati da campagne politico-mediatiche propense a drammatizzare il rischio-criminalità”.

Dunque, da sempre la politica cede alla tentazione populistica quando si occupa di giustizia penale, e da sempre i penalisti italiani denunciano e combattono quella deriva. Ma la novità è che mentre fino a ieri il populismo penale veniva negato anche quando era in concreto praticato dalla politica, oggi esso viene fieramente rivendicato come riferimento cardinale del nuovo programma di governo del Paese.

Non è certo una differenza da poco, perché in questo modo sono gli stessi assetti costituzionali della giustizia penale a essere messi apertamente in discussione, con la forza iconoclasta di un consenso popolare che al momento sembra davvero inarrestabile.

Le istanze securitarie sopravanzano e travolgono ogni esigenza di garanzia; il processo penale viene letto solo con gli occhiali del

la vittima del reato; al centro di ogni ragionamento sui fatti di rilevanza penale si pone con chiarezza la presunzione di colpevolezza; tutto ciò che è alternativa alla pena carceraria è interpretato come una resa dello Stato; la finalità rieducativa della pena è sbeffeggiata come una pruderie liberal-salottiera; la paura sociale del crimine in drammatica ascesa, cioè la realtà percepita, sopravanza le evidenze statistiche di segno contrario, ignorate o scacciate via come un moscerino fastidioso.

Noi sappiamo che un simile, travolgente contagio culturale e politico è reso possibile non dalla debolezza o dal tramonto delle idee liberali della giustizia penale, ma dal loro travisamento e dalla loro diffusa ignoranza. È ben chiaro a tutti che non una delle tricoteuse placidamente sedute a godersi le decapitazioni in piazza si sottrarrebbe alla vigorosa e anzi furibonda rivendicazione di un processo giusto ed equo, rigorosame

nte rispettoso della presunzione di non colpevolezza, se il destino riservasse loro di doversi dolorosamente immedesimare con la vicenda umana e processuale dell’imputato.

Dunque ecco l’imperativo politico e culturale che i penalisti hanno saputo avvertire: ridare forza, vitalità, chiarezza, identità e poi diffusa conoscenza alle idee liberali della giustizia penale, promuovendo il concepimento e la scrittura del Manifesto della giustizia penale liberale.

Il “Manifesto” è una ricorrente esigenza nella storia del pensiero umano, che puntualmente sorge quando si avverte la necessità – politica, filosofica, culturale, artistica – di definire con chiarezza perimetro e contenuto di idee che si intende poi promuovere, e intorno alle quali si intende raccogliere consenso e azione.

Noi avvertiamo forte la esigenza di esprimere con chiarezza contenuto e declinazione di quella idea del diritto penale, del processo penale, dell’ordinamento giudiziario in materia penale, per chiamare a raccolta tutti coloro che credano in essa e intendano difenderla e vederla affermata: nella politica, nella legislazione, nella amministrazione della giustizia, nel dibattito culturale, nei media.

L’Unione delle camere penali Italiane ha la storia e la forza per avviare questo progetto ambizioso, chiamando a raccolta la comunità dei giuristi, e innanzitutto quella Accademia che in modo sempre più chiaro, in questi ultimi anni, ha inteso e con sempre maggior forza intende schierarsi in difesa di valori costituzionali irrinunciabili.

Presunzione di non colpevolezza, sacrificio della libertà personale come extrema ratio, principio di legalità come limite del potere di interpretazione del giudice, terzietà del giudice e parità processuale delle parti nel processo, ragionevole durata del processo come diritto dell’imputato e non come legittimazione del sacrificio delle garanzie a presidio del diritto di difesa. E ancora, diritto penale minimo, razionalità e proporzionalità della pena; finalità rieducativa della esecuzione penale; e potremmo continuare.

Al tempo stesso, seguiremo l’iter parlamentare della legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, sottoscritta su nostra iniziativa da 72mila cittadini, sollecitando la promozione di un inter-gruppo parlamentare che ne sostenga l’approvazione.

Quale che ne possa essere l’esito, sarà un dibattito di vitale importanza, perché consentirà di approfondire una riflessione finalmente seria sulla effettività (o ineffettività, come noi sosteniamo) del comando costituzionale sulla indispensabile terzietà del giudice. Se vi sono risposte diverse dalla separazione delle carriere, se ne parli e se ne discuta; ma negare il problema non serve a nessuno. Vediamo collegi della Corte di cassazione presieduti da magistrati che hanno svolto per trent’anni e più le funzioni di pubblico ministero; vediamo quotidianamente all’opera giudici che esprimono la medesima formazione, la medesima cultura professionale, il medesimo percorso ordinamentale (e disciplinare) dei pubblici ministeri dai quali la nostra Costituzione li vorrebbe distanti esattamente quanto da noi avvocati: discutiamone finalmente con serietà.

Questo (insieme a molto altro, naturalmente) è il percorso che il Congresso di Sorrento ha indicato ai penalisti italiani, e che noi vogliamo affrontare insieme con tutta la comunità dei giuristi, con la politica, con le istituzioni, con la pubblica opinione. È tempo di schierarsi, è tempo di discutere, è tempo di spiegare e di difendere le ragioni fondative del nostro patto sociale in tema di giustizia penale; è tempo di diffondere la consapevolezza del valore irrinunciabile dei princìpi e delle regole che garantiscono i diritti, la dignità e la libertà di ciascuno di noi.