"Ho scoperto il carcere leggendo per caso Famiglia Cristiana: era il 1963 e vi trovai la notizia che un giovane ventenne era stato condannato all’ergastolo. Al tempo ero anch’io un ventenne: la notizia mi colpì e contribuì alla mia scelta di diventare frate."
Nel 1968 alcuni reclusi di Porto Azzurro consigliano fra Beppe di cercare volontari che lo aiutino nel suo operato. Nasce così l’associazione La Fraternità.
Ricordo che allora al Campone c’erano circa 100 detenuti, una grande differenza con gli oltre 600 che oggi sono rinchiusi a Montorio! Mi è subito saltata agli occhi la necessità di accompagnare queste persone e far loro compagnia nella pesante quotidianità della vita del carcere.
Ci siamo attivati inizialmente con i primi volontari nel settore della cultura, (che ora è tornato in auge come un buon metodo per il riscatto sociale e personale), con la creazione di una biblioteca.
Seguendo i bisogni che emergevano e partendo dal presupposto che vivere il carcere incattivisce e c’è bisogno di alternare i momenti di riflessione personale con quelli di accompagnamento e amicizia, abbiamo attivato la corrispondenza con persone esterne e molti altri progetti e attività che sono durati nel tempo fino ad oggi."
La grinta di fra Beppe non è cambiata, anzi nel tempo diventa sempre più forte. La sua carica di umanità riesce a disarmare anche i più duri: con la stessa ingenuità e generosa follia di San Francesco che andò incontro al lupo (belva feroce e temuta da tutti) riconciliandolo con la città di Gubbio, scende nell’abisso delle coscienze, sfidando la diffidenza delle istituzioni e molte incomprensioni, per abitare il cuore degli uomini.
Questa è la grande avventura che fra Beppe ogni volta tenta ed ogni volta realizza, arrivando fin nelle pieghe più nascoste dell’anima, dove bene e male si incontrano e si confondono.. dove colpa, punizione e speranza di salvezza sono così intrecciate da renderne difficile la distinzione.. Il cuore dell’uomo lui lo cerca dietro le sbarre, dova manca la libertà fisica e dova anche la libertà spirituale stenta a sopravvivere, per condividere l’umanità dei detenuti basandosi su tre punti cardine: ascolto, orientamento, comunicazione. Perché carcere e società non sono realtà distinte, ma l’una appartenente all’altra. Eppure il carcere rimane culturalmente e fisicamente ai margini della città, come rimane ai margini della nostra mente, allontanato dalla nostra vita. E’ qualcosa che non ci piace e che, intimamente, ci fa soffrire.
Oggi fra Beppe, questo frate che "non obbedisce mai" (parole sue), é membro del Consiglio Nazionale del Volontariato nelle carceri.