Il presidente del Consiglio provinciale Antonio Pastorello ha scritto al Governo per esprimere il suo disaccordo sui recenti provvedimenti che dovrebbero portare a qualche modesto sfoltimento della popolazione carceraria. Si tratta dei soliti argomenti sull’allarme sociale, la costruzione di nuovi edifici, la certezza della pena. Gli stessi ripetuti un po’ dappertutto, dove non c’è una conoscenza diretta ed approfondita del sistema penitenziario e dei suoi squilibri.
Non interessa qui sottolineare le divergenze e motivare altri argomenti. Si vuole invece cogliere un’affermazione positiva, che dimostra come un tema fondamentale, sul quale è possibile convergere in piena sintonia, sia entrato nella coscienza diffusa. Scrive infatti Pastorello: “I detenuti non sarebbero una spesa per lo Stato se fossero impiegati in lavori dove mancano le risorse, come sistemare gli edifici, i ponti, le strade, i boschi, gli argini dei fiumi. Così si avvierebbe un processo di recupero e rieducazione”.
Lo stesso concetto lo esprime un lettore dell’Arena in due lettere consecutive e praticamente uguali del 22 e 24 gennaio. In mancanza di fondi per la salvaguardia del territorio, scrive il lettore, perché non investire sui soli materiali, facendo ricorso ad una forza-lavoro disponibile come quella dei detenuti, che avrebbero così anche occasione di rendersi utili e prepararsi al reinserimento sociale?
Al Centro d’ascolto della Fraternità si rivolgono spesso persone che, uscite dal carcere dopo aver scontato la pena, o con la possibilità di non entrarci se trovano un lavoro, chiedono ormai con disperazione una qualunque possibilità d’impiego. E noi non sappiamo cosa rispondere. Naturalmente in condizioni di povertà estrema, addirittura di mancanza di senso e dignità della propria vita, il rischio di recidiva è alto.
Si potrebbe allargare il discorso oltre il penale, alla crescente emarginazione che i servizi sociali non riescono a fronteggiare. Offrendo al più tamponamenti caritativi, che solo in pochi casi generano cambiamenti.
Verrebbe quindi da mettere sui due piatti di una bilancia: da una parte un immenso volume di lavori di manutenzione e sistemazione, che costituirebbero non solo sicurezza ma importante volano di sviluppo e che la Pubblica amministrazione non ha in nessun caso i mezzi per finanziare; dall’altra una massa di potenziali lavoratori disponibili a salario che può andare da zero (i detenuti) a poco, perché comunque l’alternativa attuale è niente.
Non è affatto una questione semplice. Ci sono da risolvere le prevedibili obiezioni sul piano della concorrenza sul mercato del lavoro (anche se si tratterebbe di attività che la mancanza di risorse esclude del tutto dal mercato del lavoro), sulle condizioni contrattuali, sui diritti sindacali. In carcere ci sono da svolgere complesse procedure, valutazioni, decisioni. La Pubblica amministrazione, e in particolare gli Enti locali, devono predisporre mezzi e capacità organizzativa. Il primo compito sarebbe dunque di studio, di analisi delle condizioni giuridiche, ma anche di conoscenza ed inventario di esperienze che già sono state fatte, con l’intervento di detenuti a spalare la neve, a soccorrere i terremotati e gli alluvionati. Su piccola scala, si possono ricordare i detenuti che già a Verona sorvegliano chiese e monumenti.
Si potrebbe allora invitare lo stesso presidente Pastorello e chi come lui ha incarichi di responsabilità nella Provincia e nei Comuni, a non limitarsi a porre un’esigenza, ma ad interrogarsi su quali passi ulteriori fare, per proseguire verso la sua attuazione, secondo le proprie competenze.