Don Gino Rigoldi sul carcere minorile “Beccaria”

Don Gino Rigoldi e il presidente Mattarella

Intervista di Zita Dazzi per “La Repubblica”

Evasi dal carcere Beccaria, don Gino Rigoldi: “Speriamo che questo clamore faccia arrivare aiuti e risorse”. Lo storico cappellano racconta cosa accade dietro le mura, cosa è cambiato negli anni e le storie complicate dei ragazzi in fuga. “Con don Burgio ci siamo attivati per convincerli a tornare”.

“Io e don Claudio Burgio li stiamo cercando. Dobbiamo riportarli dentro, prima che si mettano ancora più nei guai. Ci stiamo attivando con tutto quello che si deve e si può fare, perché rientrino, senza complicare ulteriormente la situazione. Stiamo facendo arrivare loro questo appello per convincerli, siamo sulla buona strada, spero”. Don Gino Rigoldi da 52 anni è cappellano al carcere minorile Beccaria e conosce benissimo i sette evasi del giorno di Natale.

Che storie hanno?

“Dei quattro che sono ancora fuori, uno solo è straniero. Hanno tutti famiglie complicate. Oltre che povertà economica, anche povertà affettiva. Qualcuno di loro è stato abbandonato dai genitori o dai loro partner”.

Perché sono evasi?

“Tenete conto che è Natale, un giorno particolarmente triste da trascorrere in carcere. Essere lontano dagli affetti, è duro. Io ero stato lì tutta la giornata, sapevo che era una situazione difficile. Ero lì anche mentre evadevano. Poi mi hanno chiamato a sedare la rivolta che c’è stata al piano di sopra”.

Non ha paura, don Gino, lei che ha 83 anni, quando si trova solo con decine di giovani che hanno commesso reati?

“Paura? Neanche per sogno, è tutta la vita che sto con questi ragazzi, so come si fa. Abito in una comunità dove ci sono diversi ex del Beccaria. Il giorno di Natale sono andato da quelli che facevano la protesta e un po’ con le buone, un po’ con le cattive, li ho calmati”.

Perché hanno dato fuoco ai materassi?

“Si sono agitati quando hanno saputo dell’evasione. È stata una reazione a questa fuga, per molti di loro una grande impresa”.

Non si rendono conto delle conseguenze?

“Non molto, sono adolescenti, anche se hanno commesso un reato la loro percezione della realtà non è matura. Parlando con quelli rimasti dentro, li ho visti applaudire ai compagni fuggitivi. Non si rendono conto che chi è violento sarà trasferito in un penitenziario più lontano, che i maggiorenni andranno al carcere degli adulti”.

Che è peggio del Beccaria?

“Di certo, in un istituto minorile c’è più attenzione al recupero della persona, alla sua crescita, al suo futuro”.

Questi ragazzi non sembrano averne contezza, però…

“Chiaramente anche al Beccaria ci sono tanti problemi. Adesso che ci sono state queste evasioni, tutti si accorgono di quel che io sto denunciando da anni, cioè l’assenza di un direttore incaricato da 20 anni, il personale di custodia che continua a cambiare, forse anche il fatto che ci sono agenti molto giovani, quasi coetanei dei ragazzi reclusi”.

Perché è un problema?

“Sono agenti bravi e motivati, ma ovviamente, quando tanti anni fa c’era anche personale che aveva una certa età, veniva visto dai ragazzi in cella in un altro modo. C’era qualcuno che aveva una sorta di autorità da padre di famiglia. Oggi c’è un grande turnover. A volte anche a me fermano all’ingresso e mi chiedono dove vado. Dopo 52 anni, non essere riconosciuto al portone, è un po’ strano”.

Una volta il Beccaria, quando c’era il direttore Antonio Salvatore, era un modello. Oggi tutto è cambiato…

“È vero, anche gli educatori sono un po’ stanchi. Abbiamo in direzione, la tredicesima ‘facente funzioni’, Maria Vittoria Menenti, che è la brava vicedirettrice del carcere di Opera. Facciamo bei progetti, anche a lungo termine, questo è positivo, ma io spero che questa evasione porti almeno, un effetto positivo: cioè la nomina di un direttore stabile”.

Di quel che si faceva una volta al Beccaria per dare un futuro ai ragazzi, che cosa è rimasto?

“Abbiamo il Teatro Punto Zero che va molto bene, come gli stage con Cidiesse per insegnare a fare quadri elettrici industriali, un viatico per il lavoro vero. Non c’è più il panificio, c’è invece un po’ di attività con la falegnameria e c’è l’orto. Ma per un ragazzo di 18 anni l’orto non è molto attrattivo. C’è una sala musica, c’è la scuola naturalmente, ma insomma, complessivamente si fa fatica a far capire a questi ragazzi che con un lavoro e con lo studio ci si può riabilitare, si può credere nel futuro”.

E adesso?

“Speriamo che con tutto questo clamore, adesso davvero il governo aiuti il Beccaria, che finiscano i lavori in corso da 16 anni, che si risolvano tutti i problemi, visto che dicono anche che si passerà da 40 a 80 detenuti. Servono risorse, se non vogliamo che questi guai si ripetano”.