Dare parole al cambiamento/3

Venerdì 26 novembre: terzo appuntamento sul tema "Dare parole al cambiamento. Le relazioni epistolari e i colloqui di sostegno con autori di reato", presso il convento di San Bernardino. La dott.ssa Di Palma ripropone la scaletta già seguita nel precedente incontro: lettura di una lettera, suddivisione in gruppi per l’analisi dello scritto e progettazione di una risposta, e infine condivisione e discussione dei risultati emersi.

La lettera, proposta dalla volontaria stessa che l’ha ricevuta, si segnala per un particolare spessore argomentativo. In essa il detenuto sottolinea, con un certo orgoglio, il marcato contrasto tra il passato che l’ha portato in carcere (a testimonianza del quale allega un articolo di giornale), e il presente, di volontà e timore ad affrontare la realtà che lo attende al termine della pena. Cerca nella volontaria un aiuto per avviarsi ad un positivo reinserimento nella società. Sente di dover affrontare un mondo diverso dal carcere in cui ha trascorso ormai molti anni, e desidera confrontarsi con questa diversità per poterla sostenere. Vorrebbe essere guidato a trovare la forza interiore per sopportare le probabili provocazioni e frustrazioni, per non reagire d’istinto, e per vivere secondo le regole del mondo ‘esterno’.
La profondità introspettiva della lettera, offre molto materiale di discussione ai gruppi di lavoro, ognuno dei quali alla fine comunica la propria interpretazione, insieme ad un primo abbozzo di risposta.
Nella lettera è stata evidenziata da tutti i gruppi la distinzione, che diventa anche radicale antitesi, tra il mondo ’interno’ e quello ‘esterno’ al carcere, e tra un comportamento aggressivo e uno remissivo. Appare quindi importante guidare il detenuto a una visione più realistica del mondo esterno, e a comprendere che non si tratta di scegliere tra violenza e sottomissione, tra orgoglio e umiltà, ma di costruire la propria vita in modo consapevole e responsabile, attraverso azioni di cambiamento, che implicano una scelta del tutto personale. Il mondo ‘esterno’ non è così semplice da potere essere riportato a poche formule standardizzate.
Su questi temi nodali i volontari giudicano opportuno offrire al detenuto la loro esperienza personale. Risorse e fragilità sono infatti un vissuto di cui l’individuo stesso deve prendere coscienza: in questo processo il ruolo del volontario è quello fare da specchio perché l’altro vi si possa riconoscere.
La risposta potrebbe dunque concludersi con l’invito ad approfondire l’autenticità delle motivazioni e la propria scala di valori, anche attraverso la scrittura di un diario.

Come sempre, l’intervento conclusivo della dott.ssa Di Palma chiarisce e completa il percorso svolto dai gruppi, focalizzando l’attenzione su un interrogativo fondamentale: qual è il sentimento dominante della lettera? Infatti è essenziale porsi in sintonia con chi scrive, per cogliere, al di là delle parole, il bisogno che egli manifesta. E in questo caso, fa notare la dott.ssa Di Palma, il sentimento dominante è la paura, che è la motivazione profonda dell’aggressività. E’ paura di un percorso nuovo, paura di non sapere affrontare il mondo esterno al carcere, paura di tagliare i ponti con il passato, paura di … avere paura, perché questo sentimento appare indegno di un ‘uomo d’onore’. La prospettiva di un ritorno ravvicinato alla vita normale crea un disorientamento non facile da superare. Per il volontario è fondamentale riuscire a cogliere questi sentimenti di paura dietro le dichiarazioni di orgoglio e di forza. Importante è aiutarlo a superare la semplicistica distinzione tra i ‘buoni’ che sopportano (tra cui stanno i volontari) e i ’cattivi’ che si ribellano (tra cui il detenuto include se stesso), e fargli capire che siamo tutti uguali e viviamo nello stesso mondo. Anche i valori sono gli stessi (rispetto, onore, fedeltà,..), anche se può ben riconoscere di essere stato tradito sul loro reale significato. La forza che cerca ha già mostrato di possederla, anche se in contesti particolari. Ciò che in lui è ancora fragile è la capacità di scegliere veramente, e questa può maturare solo attraverso un cambiamento personale, nel vivo dell’esperienza. Per lui, che cerca di liberarsi da una ‘affiliazione’ al mondo mafioso radicata negli affetti più profondi, sarà un percorso faticosissimo. La volontaria, a cui il detenuto si è rivolto cercando un dialogo sincero, potrà accompagnarlo nella fatica di crescere, aiutandolo a fare verità nella sua vita, a riconoscere i tradimenti subiti, a dare contorni più precisi a quel mondo ‘migliore’ che ha intravisto, a trovare una nuova sorgente di forza nell’amore per la moglie e per il figlio. In questo modo imparerà a scegliere liberamente, e a trovare in se stesso la forza per vincere quella paura di vivere che lo accomuna a tutti gli uomini.
L’incontro con la dott.ssa Di Palma ha dunque ancora una volta stimolato i volontari che nei colloqui o nella corrispondenza si fanno carico degli interrogativi posti dai detenuti, ad individuare i bisogni reali, spesso in parte taciuti o non del tutto consci: solo questa identificazione può suggerire una risposta adeguata, che attenui l’angoscia e rafforzi la fiducia, aiutando la persona carcerata a costruire da sé la propria libertà.