Carcere e Islam

Riportiamo integralmente l’intervento di un volontario della Fraternità, pubblicato in parte su “L’Arena” di domenica 8 febbraio.

<L’articolo “Servono più strumenti per monitorare il carcere”, sull’Arena del 24 gennaio, apre prendendo ingenuamente per buona la versione degli incidenti nella casa di reclusione di Padova data dal Sappe, sindacato della polizia penitenziaria. Scelta comprensibile: perché dubitare di quella fonte?

Riprendo dal quotidiano di Padova “Il Mattino” le affermazioni virgolettate del segretario del Sappe: “Quel che è accaduto giovedì sera è gravissimo, anche in relazione all’atteggiamento assunto da molti detenuti di nazionalità araba. Nella sezione si respirava alta tensione, con atteggiamenti palesemente provocatori da parte di buona parte dei detenuti verso i poliziotti. All’atto dell’ingresso nel Reparto detentivo di due poliziotti penitenziari questi sono stati aggrediti e feriti senza alcuna giustificazione e le cose sono drammaticamente degenerate con urla e grida. Molti dei detenuti, di origine araba, inneggiavano ad Allah e all’Isis. Era comunque qualcosa di organizzato visto che sono stati rinvenuti bastoni e coltelli artigianali. Le manifestazioni di solidarietà e sostegno al gruppo islamista dell’Isis da parte dei detenuti arabi sono inquietanti e preoccupanti.”

Tanto è bastato per scatenare immediatamente le reazioni degli esponenti leghisti. Il sindaco di Padova Bitonci: “Esprimo la mia solidarietà agli agenti aggrediti. Trovo molto preoccupante per la loro incolumità e per quella di tutti i padovani che alcuni detenuti arabi abbiano inneggiato all’Isis durante la rivolta di ieri”. Il capogruppo alla Camera Fedriga: “A Padova carcerati immigrati scatenano l’inferno inneggiando ad Allah e all’Isis, i servizi segreti israeliani dicono che il 70% delle moschee è a rischio terrorismo, ma Alfano sminuisce il problema con affermazioni irresponsabili.” Il deputato Caon: “Preoccupante che, nel corso della rivolta, ci sia chi ha inneggiato all’Isis: è chiaro che il rischio è elevatissimo”, occasione quindi per rilanciare gli slogan consueti: “La nostra ricetta è pronta da sempre: stop immigrazione, stop Triton, moratoria su nuove moschee e controlli ferrei su quelle esistenti, pene severissime e confisca del passaporto per chi fa apologia di terrorismo”.

L’ispezione compiuta congiuntamente dal magistrato inquirente e dal capo della squadra mobile ha accertato che i fatti si sono svolti in modo completamente diverso e che l’assist del Sappe ai leghisti si basava su notizie false.

Ci informa “Il Mattino”, nello stesso articolo, che nel reparto dove è scoppiata una rissa tra detenuti sono alloggiate solo persone provenienti dall’est europeo, non ci sono arabi, detenuti in un altro reparto separato. Non c’era né provocazione né preordinazione; gli agenti intervenuti per sedare la rissa sono stati a loro volta aggrediti. E nessuno si è sognato di inneggiare  all’Isis, che almeno in questa occasione non c’entra proprio.

Resta la ragionevole preoccupazione che dove le condizioni di vita, e tanto più se di vita incarcerata, costringono ai margini, all’esclusione, alla compressione dei diritti, alla scarsa comunicazione con la società circostante, lì potrebbero aprirsi un varco la lettura distorta e rabbiosa della religione e l’esempio terroristico.

Ci chiediamo come far emergere questo rischio eventuale, come prevenirlo o sanarlo. Probabilmente proprio chi ha la possibilità di pregare in libertà nelle moschee riconosciute, chi conosce e pratica la cultura islamica, chi è capace di guidare pubblicamente le letture religiose, chi già partecipa al pacifico confronto tra le fedi,  ha la competenza e l’intuito, più di noi,  di cogliere i segnali oscuri e di operare sul piano efficace delle spiegazioni, e non solo su quello dell’ulteriore compressione. Si tratterebbe quindi, per esempio, di intensificare la collaborazione con gli esponenti della comunità islamica, le cui posizioni sono state ampiamente esposte anche in precedenti articoli dell’Arena.

Gridare al lupo dove non c’è, per farne strumentalizzazione politica, e propagandare provvedimenti che andrebbero verso l’esasperazione, è il modo più certo per aggravare i fattori di rischio senza vedere e capire dove un’eventuale minaccia potrebbe invece annidarsi e in che cosa potrebbe consistere.

In questo senso sono molto apprezzabili gli interventi, citati nell’articolo dell’Arena, di due persone perfettamente informate sulla realtà del carcere di Montorio, la Direttrice Maria Grazia Bregoli, che  parla di “ottimo esempio di convivenza e di capacità di integrazione, dove la solidarietà scatta subito nel momento del bisogno”, e la Garante dei diritti dei detenuti Margherita Forestan, che aggiunge: “In questi anni hanno convissuto serenamente a Montorio persone di religione diversa, senza che vi siano mai state tensioni o scontri.”

Anche l’associazione La Fraternità ritiene di aver dato un qualche contribuito alla costruzione di questo clima organizzando, negli anni scorsi, gruppi di dialogo interculturale, dei quali si possono scaricare e leggere ampie relazioni, per gli anni dal 2008 al 2013 alla pagina https://www.lafraternita.it/2011/03/progetto-intercultura/.

In proposito è doveroso fare memoria riconoscente di Silvana Pozzerle, che ci ha lasciati proprio un anno fa e che per prima aveva pensato e partecipato a quell’esperienza.

8-2-15 – L’Arena: “Carceri e Islam, c’è chi fa soltanto propaganda”

Vedi anche, in precedenza, L’Arena del 21-1-15: “‘Charlie Hebdo’, in carcere musulmani preoccupati”