Carlo Bussetti, redento dal teatro. «Io, ex balordo, porto in scena gli altri detenuti»
di Francesco Battistini
Un passato in carcere, oggi Bussetti recita anche al Piccolo. «Con l’arte ho capito la finzione della mia vita di prima». E dalla sua passione è nato un ulteriore impegno volontario. «La possibilità di cambiare ruolo c’è sempre, per tutti»
MILANO — È andata male allo scippatore che ieri mattina, assieme a un complice, ha cercato di derubare di 13 milioni e mezzo di lire un portavalori dell’Istituto stomatologico italiano. Il giovane, identificato per Carlo Bussetti di 21 anni, è stato arrestato grazie alla coraggiosa reazione della vittima…» (Corriere della Sera, 8 aprile 1975).
«Ho saputo di suo cugino, tante condoglianze…». La prima volta che Carlo Bussetti recitò non sapeva d’essere così bravo. Latitava in Brasile. L’avevano condannato a 23 anni per narcotraffico. Era scappato dalla vita criminale di Milano e s’era inventato un altro nome, De Angelis, con un altro presente e un altro passato. E com’era entrato bene nella parte. Fin troppo bene: «Raccontavo tante di quelle balle che alla fine ci credevo. Un giorno del 1986 arrivò la notizia che era morto Elio De Angelis, il pilota di Formula Uno. Fra le tante cose, laggiù mi facevo anche passare per suo cugino. E così trascorsi una giornata a ricevere abbracci e cordoglio per uno che non avevo mai conosciuto».
Come un cavallo
Diceva Eduardo che fare teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male. Non essere un malato immaginario, ma un malato vero. Non fare il guappo di cartone, ma delinquere in carne e ossa. «Non so perché mi danno regolarmente le parti del cattivo…», scherza Carlo. Che ha vissuto per finta, con condanne autentiche, quel che adesso gli riesce di recitare benissimo: «Il teatro m’ha fatto capire che la mia vita è stata tutta una finzione. Fin da quand’ero ragazzo. A 15 anni mio papà ci aveva mollato, me e le mie due sorelle. Stavo a Quarto Oggiaro, Trecca, quartieri a rischio. Vedevo la bella vita dei miei amici e m’ero messo anch’io a rubare i Ray-Ban e le moto, provavo le prime rapine… Ma non mi sentivo un criminale: facevo il criminale. Mettevo la maschera del balordo, parlavo da boss. Ero rigido, paraocchi come un cavallo, prigioniero d’uno schema che mi faceva vedere la realtà solo in bianco e nero, senza colori. Recitando, ho cambiato il mio modo di guardare le cose».
A 67 anni, Bussetti è fuori dal carcere e dall’uomo vecchio che fu. Basta con l’eroina, «ne vendevo anche a 40 chili al mese». Stop con la coca, «ne pippavo anche dieci grammi al giorno». Un taglio netto a raffinerie, traffico internazionale, soldi da riciclare. Per sopravvivere, oggi gestisce a Milano un negozio d’ex carcerati in viale dei Mille – «vendiamo vestiti, cartoleria, roba prodotta nelle prigioni: sai che i nostri panettoni sono stati premiati dal Gambero Rosso?» – e per vivere è diventato un uomo di teatro. Regista, attore, autore. Un ex detenuto che porta in scena i detenuti.
«Cominciai quando mi trasferirono a Bollate. Venivo da decenni di galera, in Italia e in Brasile. Massima sicurezza, risse e coltelli, gavette piene solo di fagioli, disintossicazione. Rinascite e ricadute. Una sera, decisi d’andare al corso di teatro di Michelina Capato. Non me ne fregava niente. Era solo per cazzeggiare, non stare chiuso in cella già alle otto. Invece, pian piano, scoprii che mi piaceva. Ero portato. E recitare mi faceva sentire libero. Senza agenti di guardia, spalle da guardare. Libero anche nel linguaggio: sul palco urlavo parole, ‘infame’, ‘pezzo di merda!’, che in carcere non puoi neanche sussurrare. Dopo gli spettacoli, mi fermavo con gli spettatori, gente normale, quella che per quarant’anni avevo disprezzato. Quando facevo il narcos e vivevo a Montecarlo sugli yacht o giravo in Jaguar Mk2, m’ero sempre chiesto come si potesse campare con 1.200 euro al mese: io li spendevo in un giorno… Quella gente invece, guarda un po’, la sera andava a casa serena. Mentre io tornavo in prigione, a rimettermi la maschera del balordo. Chi era il più cretino, io o loro?».
Una dozzina di spettacoli, un centinaio di serate. Il Franco Parenti, il Piccolo, l’Argentina. E una compagnia messa in piedi con altri carcerati: «Io li preferisco a molti attori professionisti – dice Bussetti -, il teatro è terapeutico e noto come alcuni cambiano proprio: vengono a vederli i loro figli, possono mostrare di non essere solo criminali, che nella vita sanno fare altro…».PUBBLICITÀ
Duemila libri
L’ennesima prima al carcere di Opera, il 16 dicembre con Noi guerra! Le meraviglie del nulla, dove «mi tocca fare ancora il cattivo, ma nella consapevolezza di farlo solo recitando». Al gabbio, Bussetti ha letto duemila libri, altri duemila vorrebbe leggerne. S’attacca a modelli, Strehler e Sordi, Proietti e Benigni. E osserva, studia: «M’è piaciuto “Fine pena: ora”, la lettera vera d’un giudice all’ergastolano che ha appena condannato: l’ergastolano, tra l’altro, lo conosco bene, era uno che rifornivo io d’eroina… Sto lavorando su Shakespeare, il Sogno di una notte di mezza estate, lo adoro, ma da recitare è difficile…».
Quando ha scritto una cosa sulla paranoia dei cocainomani, quelli che vivono con l’ansia, «in sala ho capito che era pieno di gente che conosceva benissimo il problema, e infatti m’hanno applaudito tutti». Non è sempre facile farsi capire, però: «Una volta ho messo in scena un mio Pinocchio e facevo la Fata Turchina. Non ti dico le urla dei miei compagni di cella, quando m’han visto entrare in scena vestito da fata. Però è stato bello…». E perché? «Alla fine l’hanno capito, che nella vita c’è sempre la possibilità di cambiare ruolo. Non serve che ti vesta da donna. Basta che ti tolga i vestiti da balordo»