Arteterapia in Carcere

Mara Chinatti, collaboratrice della nostra Associazione, racconta la sua esperienza nel carcere di Montorio al XXVI Convegno dell’Istituto di Psicosintesi di Varese.  Segue la relazione del suo intervento pubblicata negli atti del convegno.

CAMMINANDO INSIEME LIBERI DI PENSARE, LIBERI DI CAMBIARE

Mara Chinatti

Oggi porterò una testimonianza di un laboratorio che ho svolto all’interno della casa circondariale di Verona. Inoltre tenterò di vivere l’esperienza della libertà mia personale in questo momento. Chiedo a tutti voi un’apertura di cuore se non riesco a contenere le mie emozioni. In questa esperienza ho dovuto fare i conti con me stessa per poterla vivere con le persone recluse nella casa circondariale.

Si può essere liberi in una casa circondariale quando, oltre ad essere rinchiusi in uno spazio ristretto, si deve ubbidire a diverse regole, da quelle imposte dalla struttura carceraria a quelle personali? È come vivere in una prigione inserita in un’altra prigione, nella quale sembra impossibile poter vivere l’esperienza della libertà. Questa domanda ha trovato una risposta nella testimonianza del lavoro che ho svolto all’interno della casa circondariale di Verona. Anche Roberto Assagioli, nel suo scritto “Libertà in prigione” parla della sua esperienza in carcere. Con la sua testimonianza ci ricorda il valore della volontà e della responsabilità, e ci indica una strada per poter vivere l’esperienza della libertà.

Il lavoro, espressione di un per-corso svolto, ha il titolo “Il disegno e la scrittura come espressione di sé” ed è stato promosso dall’associazione veronese La Fraternità, la quale aiuta non solo le persone detenute in difficoltà ma anche i loro familiari. Il progetto è stato rivolto alle persone recluse in incontri di tre ore a cadenza settimanale, per la durata complessiva di 60 ore. Vi hanno partecipato una quindicina di persone di diversa etnia, anche se per vari motivi non tutte sono state sempre presenti. Il mio scopo non è stato quello di insegnare a disegnare o a scrivere, ma quello di offrire ai partecipanti uno spazio nel quale potessero esprimersi e condividere liberamente il loro mondo interiore, senza che io ponessi domande sul loro passato o sulla loro vita privata. Ho voluto creare con loro uno spazio nel quale esserci, camminando insieme, liberi di pensare, liberi di cambiare e dove potessero manifestarsi la volontà e la responsabilità di ciascuno.

Per ragioni di spazio e tempo non mi è possibile mostrare il lavoro di tutti i partecipanti, quindi mostrerò solo quello di Michele. Il risultato concreto del lavoro non racconta l’autobiografia o la confessione del proprio vissuto ma esprime animando, soprattutto con le immagini, il tentativo personale di esternare una modalità diversa, la possibilità di dire: io resisto, io ci sono, senza dover arrivare a mettere in atto comportamenti distruttivi per ottenere la mancata, amorevole attenzione.

Tutto questo è frutto dell’impegno di Michele, della sua volontà, della ricerca di un’espressione che in quel momento è stato capace di realizzare. Nulla di ciò che c’è scritto o disegnato è stato alterato, le parole in corsivo sono state prese dal quaderno personale, altre sono state aggiunte da me come anello di congiunzione che mancava nei suoi scritti, ridando così alla sua storia quel filo conduttore che lui stesso aveva dato nel raccontarla.

Nell’immagine vedete il cancello delle carceri di Verona a destra, e il cancello di un collegio a sinistra, nel quale ho vissuto moltissimi anni della mia infanzia e dell’adolescenza. Per poter vivere l’esperienza della libertà all’interno della casa circondariale ho dovuto guardare all’interno del cancello del collegio, perché molte cose che succedevano all’interno del primo come un rimbombo risuonavano in me, andando a risvegliare condizionamenti, ricordi e memorie che credevo ormai sotterrati ed allontanati da me. In realtà invece, per incontrare l’altro, per prima cosa ho dovuto fare un lavoro di incontrare e contenere me stessa. Ho voluto, nel senso di libera scelta, aprire il mio cuore a me, alla bambina ferita, e come una madre accompagnarla, per poter diventare in un certo senso la conduttrice di queste persone adulte che vivevano nella casa circondariale.

Il mio lavoro è iniziato ponendo questa domanda: chi sono io? Michele, prima disegna una macchina davanti ad un burrone, poi scrive:«momento di stasi, questo periodo per me è come una strada rotta, sulla quale il tempo si è fermato, ma io spero ancora di proseguire». Ho chiesto a Michele che cosa poteva fare per continuare il suo percorso. Michele decide di creare un ponte e lo disegna, Faccio notare a Michele che la macchina è ancora di qua dal ponte. Scrive:«questo è un periodo di speranze, in questo momento penso che sto superando questo periodo di stasi, vedo l’altra parte della strada e quindi se continuo a guidare posso superare il burrone». Michele decide di oltrepassare il ponte e riprende il suo viaggio, poi scrive:«finalmente questo burrone lo sto superando, il momento di stasi sta per finire e sono pronto al futuro».

Strada facendo Michele incontra altri viaggiatori, così ora non è più solo. Scrive:« questa è la strada che io, dopo questa esperienza, devo percorrere. È diritta e senza burrone, e da lì in poi inizia ad incontrare qualcun altro. Scrive: «finalmente dopo tanto tempo vedo delle case colorate sulla strada dritta che è senza burroni. Inoltre ci sono tante macchine e sugli alberi ci sono anche degli uccellini che cantano». La sua visione inizia a spostarsi anche verso piante ed animali, i disegni iniziano ad essere più colorati. Scrive:« la strada finisce in un incrocio fiorito che porta in un paese dove ci sono delle case, delle giostre e dei bambini che giocando si divertono». È meraviglioso notare come integri anche il gioco in questa fase, quindi sentimenti di piacere e di contentezza. Michele decide di concludere il suo viaggio, immaginando di fare una gita. Scrive:« oggi è una giornata di vacanza, io e la mia famiglia abbiamo deciso di fare una gita in elicottero. Alla guida c’è mio figlio che ci fa vedere il panorama boschivo che si trova fuori dalla città. A fianco di mio figlio è seduta mia moglie, mentre io e la mia bambina stiamo osservando il panorama dallo sportello». La visione dall’alto è più ampia rispetto a quella precedente dalla macchina.

Qui finiva il percorso di Michele, ma visto che le ore non erano terminate, io propongo a Michele di proseguire, perché, come ci insegna la Psicosintesi, noi siamo una molteplicità di aspetti. Riproponendogli la stessa domanda: chi sono io? Michele risponde:« la speranza». Egli prende atto della sua solitudine che non è solo nel suo cuore, ma anche nel cuore delle persone a lui care e in quelli che vivono la sua stessa situazione, Scrive:« questi sono tanti cuori che sembrano felici, ma non lo sono perché sono soli. Essi non si vedono perché sono distanti tra loro. Tutti sono di color rosso, come una fiamma accesa nell’immenso blu». Inizia a rendersi conto che non solo lui soffre, non solo i suoi familiari. Nella casa circondariale di Verona, che dovrebbe contenere trecento persone ce ne saranno mille. Sentire che la propria realtà è la realtà di tutte le persone che lo circondano è un grande passaggio per chi vive in una situazione in cui si tenderebbe a guardare solo se stessi, dove la propria sofferenza diventa unica, dove si cerca e si vuole avere solo l’attenzione su se stessi. Ecco che nella solitudine il tempo accoglie le fantasie e i ricordi di Michele. Scrive:« la gondola è il simbolo di Venezia e del romanticismo. Portare la propria compagna a Venezia e sulla gondola è romantico. Tutte le persone del mondo dovrebbero andare a Venezia con la propria amata e portarla sulla gondola. Io ci sono andato ed è stata una giornata meravigliosa».

Questo disegno è molto importante, l’ho inserito anche se non l’ha fatto Michele e non l’ha fatto con me. Ma quello che è stato importante è che lui, nella settimana in cui non ci siamo visti, ha voluto raccontare ad un suo compagno di cella il suo vissuto interiore e gli ha chiesto se glielo poteva disegnare in quanto lui non era capace di rappresentarlo a livello pittorico. Inizialmente ho come rifiutato il disegno perché non era stato fatto nel nostro laboratorio, ma quando mi ha spiegato il significato, ho trovato giusto e corretto inserirlo nel suo percorso. Scrive:« il mio equilibrio è instabile. È come se fossi su una bicicletta, dove una parte di me guarda avanti mentre l’altra guarda indietro. Mi sono messo le cinture e le ho allacciate in modo da poter essere stabile fintanto che aspetto che mi arrivi l’equilibrio, per potermi sentire libero».

«Mi sento come un cane abbandonato simile a quelli che lasciano sull’autostrada. Come loro non so dove andare, cosa fare. Al cane disegnato gli ho messo gli occhiali, così che possa vedere meglio dove andare”. Ma cosa può fare Michele in quel momento per migliorare la sua situazione? Risponde: «la mia difficoltà in questo periodo è quella di orientarmi. Per farlo un modo è quello di disegnare e scrivere, modalità che ho scoperto e che mi piace molto». Michele esprime al gruppo le proprie riflessioni. «In questo periodo, pur funzionando l’orologio, il tempo sembra che non passi mai e per me è una lunga attesa». Aspettare il giorno dell’uscita dal carcere è una lunga attesa per Michele.

Descrive uno dei disegni liberi che ha fatto: «questo disegna rappresenta un laghetto nel quale vi sono uccelli tropicali, una femmina con i suoi piccoli. Il laghetto è circondato da un prato fiorito. Nel cielo c’è uno stormo di uccelli che migrano. Guardando il disegno mi sembra di poter passare una domenica serena con la mia famiglia, giocando con i miei bambini». Ancora tornano i temi della famiglia, del contatto dell’amore, dell’affettività ed il giocare. Quel ritornare bambini dove si è in qualche modo ancora se stessi, ancora privi di condizionamenti, di giudizi e soprattutto di errori. Michele dalla nostalgia famigliare passa all’ammirazione del proprio attuale impegno che ha scoperto e che gli piace molto fare. Egli considera una grande opera d’arte il ponte sulla ferrovia che ha disegnato!

Scrive:«questa costruzione è un capolavoro, ma mentre osservo il disegno ho la sensazione che il treno con le sue vibrazioni lo possa rovinare. Per far si che non succeda ho pensato di rinforzare il ponte, facendo alla base degli archi delle piattaforme, così sono sicuro che il ponte non crollerà». Dopo averle disegnate sulla fotocopia del disegno scrive:«la sensazione che ho ora nel guardare il disegno è di stabilità. Io mi sento più sicuro». Poi raffigura un incrocio con quattro stop. Scrive:«ora voglio cambiare e fare una rotonda in cui si entra dalla parte destra, così diventerà più scorrevole. Allo stesso modo in questo periodo, sto vivendo la mia vita in modo più scorrevole e più tranquillo». Michele in un certo senso ritorna a casa, nella casa della famiglia. Scrive:«questa per me è la speranza di casa, il piacere di poter stare con la mia famiglia e i miei figli. Posso dire di essere arrivato a casa, dove la mia famiglia mi sta aspettando».

Ora per concludere vi mostro due pitture che ho fatto ed intitolato “passaggio”. Dall’osservare al trasformare i contenuti della propria caverna  interiore per vivere l’esperienza della libertà. Solo nell’aver il coraggio di osservare, contenere, disidentificarci, possiamo distaccarci dalla prigionia e fare un processo di trasformazione che è visibile nell’albero che si trasforma in donna.