15 novembre 2018
VI Giornata Nazionale dedicata a un progetto che fa incontrare il Carcere e la Scuola
- oltre 12.000 studenti coinvolti
- oltre 1.000 VOLONTARI impegnati
- molte scuole e molte associazioni che già sono passate da un giorno all’anno di impegno su questi temi a un numero sempre maggiore di giorni e di risorse impegnati.
La Scuola e il Carcere, due mondi che il 15 novembre 2018, e poi molti altri giorni dell’anno scolastico in corso, avranno l’occasione, per il terzo anno, di conoscersi e confrontarsi per riflettere insieme sul sottile confine fra trasgressione e illegalità, sui comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro ognuno di noi.
Quest’anno rifletteremo assieme ancora sul diritto agli affetti delle persone private della libertà personale, che non sono sufficientemente tutelati, e poi ci occuperemo di minori, dei loro comportamenti a rischio, dei reati che commettono più di frequente, di carceri minorili, di pene alternative al carcere.
Ma che cosa ci può raccontare sulla libertà chi ne è stato privato perché ha commesso un reato? E che cosa ci possono insegnare tutti quei volontari, che entrano ogni giorno nelle carceri italiane per contribuire a renderle più “civili” e meno “lontane” dalle città?
Ci possono insegnare:
- Che per apprezzare davvero la libertà è importante capire che può capitare di perderla per errori, per leggerezza, per scarso rispetto degli altri. Ma chi l’ha persa deve avere la possibilità di riconquistarla scontando una pena rispettosa della dignità delle persone.
- Che in carcere ci sono persone, e non “reati che camminano”.
- Che il carcere è meno lontano dalle nostre vite di quello che immaginiamo, perché il reato non è sempre frutto di una scelta, e noi esseri umani, TUTTI, possiamo scivolare in comportamenti aggressivi e violenti e finire per “passare dall’altra parte”
- Che le pene non devono essere necessariamente CARCERE, perché la certezza della pena significa scontare una pena che può essere anche fatta non “di galera”, ma che, come dice la nostra Costituzione, deve “tendere alla rieducazione”. Una pena costruttiva, che accompagni le persone in un percorso di responsabilizzazione rispetto al loro reato.
- Che parlare di pene umane, che abbiano un senso e che non abbiano come scopo di “rispondere al male con altrettanto male” significa rispettare di più anche le vittime. Perché per chi subisce un reato e per la società è più importante che l’autore di quel reato sia consapevole del male fatto e cerchi di riparare il danno creato, piuttosto che “marcisca in galera” senza neppure rendersi conto delle sofferenze provocate.
- Che investire sul reinserimento delle persone detenute significa investire sulla sicurezza della società.
Il 15 novembre, nelle scuole di tante città italiane, si parlerà in modo nuovo di carcere, di pene, di giustizia, cercando di sconfiggere luoghi comuni e pregiudizi.