La Giornata dell’Amicizia: un ponte di speranza e solidarietà

Domenica 2 febbraio, nella parrocchia di Santa Maria Maddalena a Verona, si è svolta la Giornata dell’Amicizia, un evento che ha saputo unire cuori e spiriti in un clima di preghiera, condivisione e impegno sociale. Come ogni anno, generosa è risultata la risposta alla raccolta di prodotti di igiene per le persone più bisognose recluse in carcere a Montorio. In questa occasione sono stati invitati quattro detenuti, i quali, insieme ad alcuni volontari dell’associazione “La Fraternità”, hanno potuto vivere una giornata di permesso in uscita premio, simbolo di un percorso di reintegrazione e di speranza. Si é iniziato con la Santa Messa, celebrata da fra Paolo, cappellano del carcere, e dal diacono Fabio. La liturgia ha offerto un momento di riflessione profonda, ricordando quanto la fede e la solidarietà siano luci per affrontare le difficoltà quotidiane, per chi si trova in situazioni di grande fragilità.

Al termine della celebrazione, nel salone parrocchiale, quattro lunghe tavolate hanno ospitato un folto numero di parrocchiani e volontari. L’atmosfera conviviale, resa ancora più calorosa dalla presenza attiva di un gruppo di giovani che ha prestato il servizio ai tavoli, ha trasformato in un momento di vera comunione il pranzo, a base di lesso e pearà, preparato con maestria da un team di cuoche stellari. Verso la fine, fra Paolo è stato invitato dal parroco don Elvis a condividere la sua esperienza di cappellano e ad illustrare la difficile realtà dei detenuti nel carcere di Montorio. Fra Paolo ha raccontato come il servizio prestato presso i “ristretti” rappresenti per lui una risorsa preziosa, capace di arricchirlo umanamente e spiritualmente. Ha sottolineato poi come i detenuti restino sempre persone umane, capaci di instaurare amicizie profonde e durature anche dopo il loro reinserimento nella società. Tuttavia, la convivenza forzata in spazi estremamente ristretti – a volte fino a tre persone in una cella progettata per una sola – rende inevitabile l’insorgere di conflitti e tensioni. Tale situazione é aggravata ulteriormente dalla presenza di particolari criticità: da un lato, i detenuti tossicodipendenti, che necessiterebbero di essere seguiti in specifiche comunità di recupero; dall’altro, i malati psichiatrici, per i quali sarebbe auspicabile non una mera somministrazione di farmaci, bensì un percorso di riabilitazione con un’assistenza sanitaria continuativa e specializzata. Queste condizioni complicano la vita quotidiana dei detenuti, incidendo profondamente sulla qualità delle relazioni. Fra Paolo ha evidenziato ancora ulteriori aspetti gravosi della vita in carcere. Ogni richiesta, anche la più elementare, deve superare numerosi passaggi burocratici di verifica, rendendo il soddisfacimento dei bisogni un processo lento e spesso frustrante. Anche i contatti con i familiari risultano fortemente limitati: brevi telefonate e videochiamate, entrambe programmate con largo anticipo, rappresentano l’unica possibilità di mantenere un legame con il mondo esterno, accrescendo ulteriormente il senso di isolamento e  solitudine. Il cappellano ha illustrato come, a causa di queste numerose difficoltà e del limitato supporto, alcuni detenuti rischino di perdere la speranza, abbandonando ogni interesse per il futuro e cadendo in uno stato di completa apatia, come nel caso di un giovane ventenne, con una pena di dieci anni, la cui inattività rischia di spegnere le sue potenzialità e il desiderio di ricostruire un futuro sereno, in un contesto che offre limitatissime opportunità di crescita. Concludendo il suo intervento, fra Paolo, ha invitato soprattutto le giovani ragazze ad essere sagge nelle relazioni, a riconoscere quando non vi sia il rispetto reciproco e a non alimentare false speranze di un futuro condiviso in situazioni tossiche, ove manca il rispetto reciproco.